Roma, 12 feb – Dal piccolo quartiere di Boccadasse al barrio della Boca. Leggenda vuole che una delle zone più celebri – almeno calcisticamente – di Buenos Aires debba il nome proprio al suggestivo borgo marinaro ligure. Già lo chiamano così nel 1882 quando un gruppo di nostri connazionali residente nella capitale argentina si autoproclama Repùblica: intendono assicurarsi la gestione del porto. E, mentre informano ufficialmente il regnante in madrepatria (Umberto I), fanno sventolare la bandiera di Genova sulle coste sudamericane dell’Atlantico. Dove oggi si professa la religione blu e oro del Boca Juniors, un tempo garriva il drappo biancorosso di San Giorgio. Colori che a quelle latitudini fanno però rima con gli acerrimi nemici del River Plate. Casualità storico-pedatoria? No, perché anche la squadra più vincente d’Argentina ha radici italiane.

Il River Plate dei sei genovesi

Ufficialmente fondata il 25 maggio 1901, la genesi della compagine platense è da “anticipare” alla fine del diciannovesimo secolo. Era già qualche anno infatti che Rosales e Santa Rosa – quest’ultima composta da giovani genovesi – si impegnavano nella pratica del calcio. Dall’unione delle due forze nascerà quindi il River Plate, il cui undici fin dal principio si rivela a maggioranza italiano. Moltedo, Ratto, Peralta, Carrega, Zanni, Messina: sono ben sei i connazionali che prendono parte alla prime gare della nuova squadra bairense.

I Millonarios del presidente Liberti

Trasferita la sede nel quartiere ricco della città, intorno agli anni trenta del secolo scorso diventa presidente un imprenditore genovese, Antonio Vespucio Liberti. Colui che guiderà per un breve periodo anche il Torino, si rende protagonista di acquisti faraonici. In particolare gli arrivi di Peucelle (1931, diecimila pesos) e Ferreyra – nel 1932, con parte del compenso corrisposto in oro – comporteranno il soprannome di Millonarios. Ma sono anche le stagioni in cui sbocciano i talenti di Adolfo Pedernera, trequartista ante litteram, e José Manuel Moreno. Insieme ai colleghi del reparto offensivo formeranno la Máquina, uno dei quintetti d’attacco più forte di tutti i tempi.

Da Alfredo Di Stefano a Franco Armani

Nel 1935, sempre sotto la presidenza Liberti iniziano i lavori per la costruzione dello stadio. Su un terreno pagato di tasca propria dal primo tifoso prende forma il Monumental, che oggi porta il nome dello storico dirigente.

La storia del River Plate – tra i cinquantacinque trofei conquistati spiccano trentasette campionati argentini e quattro Libertadores – continua sotto l’auspicio dell’antica Esperia. Con il carisma del Pipo Rossi, le reti di Alfredo Di Stefano (il padre della freccia bionda nacque a Capri) e il genio anarchico di Omar Sivori. Con i dieci milioni di pesos incassati dalla Juventus (1957) la società platense completerà la sopracitata casa sportiva.

La vincente tradizione è oggi rinnovata dal portiere Franco Armani: ascendenti toscani, difende da un lustro i pali platensi. Pur non scendendo mai in campo ha fatto parte della trionfale spedizione argentina nell’ultimo mondiale in Qatar.

Il grande Torino e la finale Libertadores

Non solo calciatori e dirigenti. Il 26 maggio 1949, a pochi giorni dalla tragedia di Superga, la compagine biancorossa arrivò a Torino per disputare un incontro di raccolta fondi – destinato alle famiglie dei caduti – contro una selezione dei migliori giocatori della Serie A. Nel novembre 2018 invece fu lo stesso comune di Genova a proporre a River Plate e Boca Juniors di disputare la finale di Libertadores al Ferraris. Per la cronaca i Millonarios si imposero sui cugini per 3-1: a segno anche l’italo-argentino Pratto (ex del Grifone). Peccato che la Conmebol optò per il Bernabeu di Madrid. Ospitare quello storico Superclassico europeo sarebbe stato per entrambe un bellissimo ritorno alle origini.

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Marco Battistini

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