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Il cambio di passo della politica nipponica sulla Difesa

A dicembre il Giappone ha pubblicato la sua nuova strategia di difesa e sicurezza. Si tratta della prima in 10 anni e della seconda di sempre – a significare la grande valenza simbolica dell’atto – ma soprattutto sono state messi nero su bianco diversi importanti cambi di postura che, negli ultimi tempi, erano stati indicati da Tokyo come risposta al repentino mutare dell’assetto strategico globale e locale.

Non più lacci costituzionali?

Il Giappone, al termine della Seconda Guerra Mondiale, si è dotato di una costituzione tra le più “pacifiste” al mondo che limita in modo incisivo l’assetto dottrinario delle sue Forze Armate (definite non a caso “Forze di Autodifesa”) e pertanto ne deriva uno strumento difesa dotato – o non dotato – di sistemi d’arma particolari: Tokyo, ad esempio, formalmente non può possedere portaerei e bombardieri, rifiuta il possesso e l’utilizzo di armamenti nucleari (e ne vieta lo schieramento sul proprio territorio nazionale), e perfino i cacciabombardieri (come i vecchi F-4 “Phantom II” e gli F-15 “Eagle”) sono (erano) di una versione particolare espressamente pensata per la Jasdf (Japan Air Self Defense Force) che vedeva l’impossibilità di essere riforniti in volo e l’assenza del computer da bombardamento.

Questa particolare condizione, per molti versi simile a quella italiana, è mutata nel corso degli ultimi tre lustri: la marina nipponica, ad esempio, ha in servizio due unità (della classe Izumo) che possono operare con gli F-35B, e sebbene vengano ufficialmente definite “cacciatorpediniere portaelicotteri” (DDH), sono di fatto delle portaerei. Il Giappone, quando ha iniziato i lavori di adeguamento delle Izumo per permettere loro di utilizzare gli F-35B (versione Stovl del noto caccia della Lockheed-Martin) ha affermato che l’impiego dei velivoli sulle navi sarà puramente difensivo spiegando che Tokyo dispone di sole due piste avanzate per poter controllare il suo arcipelago meridionale, non casualmente oggetto di contesa con la Cina: Iwo Jima nel Mar delle Filippine e la base di Naha a Okinawa. Entrambe troppo lontane dalla zona calda in questione.

Forse il segnale più forte di questo cambiamento epocale per la politica di difesa nipponica è dato dalla volontà di dotarsi di armamento stand-off: il Giappone si sta infatti muovendo per acquistare missili da crociera, ovvero vettori che sono in grado di poter colpire anche basi terrestri nel continente asiatico, oltre che le unità navali, a grande distanza.

Il nuovo documento di aggiornamento della sicurezza nazionale, pertanto, riserva poche sorprese a chi ha seguito attentamente l’evoluzione della politica nipponica, che nonostante i cambi di governo è rimasta praticamente invariata. Anzi, i recenti sviluppi dimostrano una maggiore e mai vista prima apertura del Giappone a nuovi partenariati strategici nel settore della Difesa che vanno oltre gli Stati Uniti, che sino a oggi erano i soli fornitori stranieri per le forze armate nipponiche.

La raggiunta intesa, insieme a Regno Unito e Italia, per lo sviluppo del caccia di nuova generazione (la sesta) “Tempest”, il cui programma ora prende il nome di Global Combat Air Programme (Gcap), è un evento storico che dimostra sia la maggiore apertura di Tokyo verso l’esterno al di fuori degli Usa, sia, in particolare, l’attenzione che viene rivolta all’Europa, vista – non a torto – come un hub tecnologico a cui attingere a condizioni migliori di quelle offerte dagli Stati Uniti.

Una nuova politica per uno scenario in rapido peggioramento

La mutazione della politica di sicurezza e difesa nipponica risponde quindi al mutato scenario internazionale: nel documento, infatti, viene affermato che sta diventando sempre più difficile, per il Giappone e per i suoi alleati, gestire i rischi nella comunità internazionale e mantenere e sviluppare un ordine internazionale “libero e aperto”.

Ciò, si legge, è in gran parte dovuto al fatto che le nazioni, non condividendo valori universali o sistemi politici ed economici basati su principi in comune, stanno espandendo le loro influenze, facendo così emergere rischi in tutto il mondo.

In particolare, alcuni Stati, che non escludono la volontà di accrescere i propri interessi nazionali a spese di altri, stanno espandendo la loro influenza con mezzi sia militari che non militari, tentando di modificare unilateralmente lo status quo e accelerando le azioni per sfidare il ordine internazionale.

Tali mosse hanno acuito la concorrenza e il confronto tra gli Stati in aree ad ampio raggio, comprese quelle militari, diplomatiche, economiche, tecnologiche, e hanno scosso le fondamenta dell’ordine internazionale. Di conseguenza, l’attuale ambiente di sicurezza internazionale è diventato “complesso e severo”.

Una svolta epocale per Tokyo

Analisi simili sono state fatte anche in documenti analoghi di altri Paesi (Italia, Regno Unito, Francia, Stati Uniti ecc) ma per il Giappone rappresenta una svolta epocale, richiedente uno strumento difesa più flessibile, solamente accennata negli anni precedenti: l’Ndpg (National Defense Program Guidelines) del 2010 aveva affermato che lo sviluppo delle capacità di difesa non sarebbe più dipeso dal “Basic Defence Force Concept“, che attribuiva importanza all’effetto deterrente dall’esistenza della stessa capacità di difesa, e il successivo del 2013 ha solo fatto appello ad affrontare direttamente la realtà di un ambiente di sicurezza sempre più severo e a costruire una capacità di difesa veramente efficace.

Nel frattempo, i Paesi confinanti con il Giappone hanno drasticamente rafforzato le loro capacità militari minacciando la sicurezza di Tokyo e della regione. Pertanto, tenendo conto di quanto detto, il Giappone deve dimostrare chiaramente l’intenzione che non tollererà cambiamenti unilaterali allo status quo messi in atto con la forza e a tal fine si prefigge di rafforzare la capacità di difesa con un’attenzione particolare alle capacità degli avversari e ai modi in cui proseguono la guerra.

Da qui la necessità di avere sistemi d’arma a più ampio raggio d’azione che però verranno utilizzati sempre per scopi difensivi: uno dei tre obiettivi della difesa nipponica, e forse il più importante, è quello della capacità di risposta nel caso in cui la deterrenza fallisca e si dovesse verificare l’invasione dell’arcipelago giapponese. Una risposta che deve essere rapida e “su misura e senza soluzione di continuità”, assumendosi, e qui sta la vera e rivoluzionaria novità, “la responsabilità primaria di affrontare l’aggressione” in modo da interrompere e respingere l’invasione mentre si aspettano i rinforzi provenienti dagli alleati.

Counterstrike non significa guerra preventiva

Come parte delle funzioni e delle capacità richieste per la difesa nazionale sopra descritte, il Giappone ha quindi bisogno di capacità con cui interrompere e sconfiggere le forze d’invasione su lunghe distanze, scoraggiando così l’invasione stessa.

Tokyo quindi rafforzerà le “capacità di difesa stand-off” e le “capacità di difesa aerea e missilistica integrate” puntando su una strategia di contrattacco (counterstrike) che sfrutta la capacità di difesa a distanza.

Siccome è stato anche osservato che negli ultimi anni le capacità missilistiche degli avversari del Giappone sono migliorate esponenzialmente, Tokyo ritiene che “gli attacchi missilistici sono diventati una minaccia palpabile” e puntare esclusivamente sulla difesa antimissile non è più una soluzione percorribile, da qui la volontà di dotarsi di capacità counterstrike per “prevenire ulteriori attacchi difendendosi dai missili in arrivo”, ovvero come deterrente.

Non si tratta però di attacchi preventivi, quindi il Giappone non prevede di dare il via a nessun tipo di “guerra preventiva”, bensì di contrattacchi eseguiti come misura minima necessaria per l’autodifesa. Pertanto la politica esclusivamente difensiva del Giappone non viene modificata e viene messo per iscritto che “gli attacchi preventivi, vale a dire colpire per primi in una fase in cui non si è verificato alcun attacco armato, rimangono inammissibili”.

Avere capacità di counterstrike per eliminare la minaccia missilistica avversaria, che è basata non solo su missili balistici a corto raggio, ma anche a raggio medio e intermedio, significa però dotarsi o di vettori da crociera a lungo e lunghissimo raggio, oppure di altrettanti sistemi balistici a raggio medio e intermedio (che a oggi ancora non ci sono in campo occidentale).

Lo choc dato dalla guerra in Ucraina

Queste nuove esigenze saranno accompagnate da un aumento del bilancio della Difesa: il Giappone ha tradizionalmente limitato il suo budget all’1% del Pil, sebbene negli ultimi anni ci siano stati successivi stanziamenti record per la Difesa.

Il mese scorso, il premier Kishida ha annunciato l’intenzione di aumentare la spesa in questo settore portandola al 2% del Pil nel 2027, in linea con gli standard richiesti dalla Nato. Anche in questo caso, così come per la modifica della postura strategica, la decisione è sostenuta dalla maggior parte della politica nipponica e riflette il cambiamento nel sentimento popolare a causa della maggiore vulnerabilità percepita dai giapponesi per via delle politiche aggressive di Cina, Corea del Nord e Russia.

Da quest’ultimo punto di vista forse lo “shock” maggiore è stato dato dall’attacco all’Ucraina: nonostante le divergenze (determinate dalla questione sulle Curili), Tokyo considerava Mosca un partner con cui collaborare per la stabilità regionale, mentre oggi questa possibilità si è notevolmente allontanata come si evince proprio dalla lettura dei documenti strategici recentemente pubblicati, in cui viene dedicato ampio spazio all’aggressione armata della Russia in Ucraina.

Si deve guardare all’Indo-Pacifico

Cosa porterà questa nuova postura giapponese? Sicuramente avere un Giappone più flessibile dal punto di vista della Difesa comporterà una maggiore possibilità di integrazione sotto il profilo militare, inoltre l’apertura nipponica verso l’esterno (cioè, come detto, oltre gli Stati Uniti) resasi necessaria dalla volontà di acquisire nuove capacità, permetterà di avere un nuovo partner aperto a collaborazioni che metteranno a sistema le risorse industriali ad alta tecnologia in suo possesso.

Per noi europei, e in particolare per l’Italia che ha intessuto da tempo importanti relazioni col Giappone, significherà anche essere più presenti nell’Indo-Pacifico e pertanto si paleserà l’esigenza di fare decise scelte di campo nella politica commerciale e in ambito diplomatico.

Da queste colonne lo abbiamo più volte ribadito: nonostante “l’incidente di percorso” dato dal conflitto in Ucraina, che ha riportato l’attenzione dei governi europei al nostro continente, la vera partita globale si sta giocando, da tempo, in Estremo Oriente, e l’Indo-Pacifico ne è il teatro principale. Non è più possibile, pertanto, avere politiche temporeggianti attendendo il corso degli eventi.

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