La guerra ibrida (Hybrid Warfare) ha ribaltato il concetto clausewitziano di conflitto inteso come prosecuzione dell’attività politica con altri mezzi. Nella fattispecie, qui è la guerra che viene condotta con mezzi non bellici, “altri”, ovvero si assiste al proseguimento di un conflitto con strumenti “politici”.
Spesso e volentieri, con lo scoppiare della guerra in Ucraina, il termine Hybrid Warfare è stato associato a qualsiasi attività russa nel teatro bellico. Non è così: se tutto è guerra ibrida, nulla è guerra ibrida.
Abbiamo già ampiamente spiegato cosa si intenda per Hybrid Warfare dando spazio alla sua declinazione russa, ma vale la pena tornare sul concetto per illustrare come esistano aree del mondo particolarmente fragili rispetto a questa metodologia.
Europa, America Settentrionale e alcuni Paesi asiatici sono relativamente al riparo dagli effetti di una guerra ibrida in quanto esistono “anticorpi” – più o meno efficaci – che sono maturati in alcuni settori chiave come lo spazio cibernetico, quello informativo, quello economico oppure l’impossibilità di usare proxy. Altri ambiti utilizzati da un’attività svolta nella “zona grigia” di un conflitto, invece, rappresentano ancora una seria problematica, come l’utilizzo delle ondate migratorie generate ad hoc, oppure il terrorismo.
Vengono a mancare, quindi, alcuni punti dei 4 pilastri fondamentali della Hybrid Warfare così come postulati in occidente: gli attori coinvolti (mercenari, terroristi, agenti domestici), i mezzi impiegati (armi convenzionali, sperimentali e di uso comune), le tattiche (azioni convenzionali, legittime, illegittime, guerriglia, terrorismo, propaganda) e soprattutto i moltiplicatori (guerra psicologica, informatica, informativa, sfruttamento reti sociali, estorsione, cyberterrorismo).
Come accennato, esistono aree del mondo in cui questi pilastri sono più solidi. Sud America e Africa, per tutta una serie di motivi anche diversi, rappresentano un campo di battaglia “grigio” molto più appetibile per l’agire di quei Paesi in grado di mettere in atto uno scontro ibrido.
I rischi per l’Africa
Il continente africano è quello in cui la popolazione ha il minor accesso al web, e pertanto l’attività informativa e informatica hanno un peso minore rispetto ad altre “più classiche”. Le poche infrastrutture cyber sono anche più vulnerabili agli attacchi informatici rispetto a quelle europee o nordamericane. Al contrario, la presenza, in diverse regioni, di instabilità politica pressoché costante, permette l’uso efficace di proxy e/o l’invio di mercenari a libro paga di una potenza estera al fine di poter dirigere la politica del Paese bersaglio attraverso l’aiuto nell’attività di sicurezza interna, oppure controllando direttamente le infrastrutture legate allo sviluppo minerario o civile. L’attività del Gruppo Wagner – ma non solo – in Repubblica Centraficana, in Mali, oppure in Sudan è emblematica da questo punto di vista.
Fato sul Sudamerica
L’America Meridionale, da quest’ultimo punto di vista, è al momento al riparo da una simile attività, ma solo perché i governi sono diventati più stabili rispetto al passato e si è avuto un lento e sanguinoso processo che ha portato alla loro democratizzazione. Anche l’attività di guerriglia rimasta ora ha più il carattere della criminalità organizzata dipendendo principalmente dal traffico di sostanze stupefacenti e dai rapimenti a fini estorsivi, in quanto unici canali di finanziamento rimasti dal crollo dell’Unione Sovietica.
Dal punto di vista dell’attività informativa e di quella nel dominio cyber (strettamente interconnesse), invece, sebbene le infrastrutture siano più diffuse e quindi una maggiore fetta di popolazione possa accedere al web, la situazione non è molto dissimile da quella africana: le aziende latinoamericane risultano essere più vulnerabili alle minacce informatiche rispetto a quelle europee.
Il continente è diventato terreno fertile per gli attacchi informatici con un attacco ransomware su tre che prende di mira un Paese latinoamericano. Nel 2020, il fornitore di sicurezza informatica Kaspersky ha registrato una media di 5mila attacchi ransomware al giorno contro obiettivi in America Latina.
I problemi degli anticorpi cyber
Il problema è aggravato, ma sarebbe meglio dire determinato, dalle carenze legislative: con poche eccezioni l’attività per cercare di dotarsi di strumenti legali per il contrasto alla cyber criminalità è stata insufficiente.
Non avere anticorpi di tipo cyber significa anche essere esposti all’attività di disinformazione, che può essere esterna oppure interna. La Russia, ad esempio, è stata molto attiva nel cercare, se non l’appoggio, l’indifferenza di alcuni Paesi del centro e sud America rispetto al conflitto che ha scatenato in Ucraina attraverso una fitta campagna propagandistica: perfino il Brasile di Jair Bolsonaro si è dimostrato tiepido a riguardo, e non solo perché Brasilia fa parte dei Brics.
Poter indirizzare facilmente l’opinione pubblica grazie alla scarsa disponibilità di mezzi in grado da un lato di frenare la disinformazione, dall’altro di divulgare notizie verificate e verificabili, è anche un importante strumento interno.
Il caso del Brasile
Restando in Brasile, la diffusione di notizie false riguardanti i brogli elettorali da parte dell’ex presidente Bolsonaro ha contribuito al malcontento dei suoi sostenitori, e non è nemmeno da escludere che la recente sommossa nella capitale, con l’assalto ai palazzi governativi, sia stata in qualche modo diretta dall’estero, da Bolsonaro stesso o dalla sua corte, sfruttando i social network.
Spostandoci leggermente più a nord rispetto al Brasile, il Venezuela ha affermato in passato che i ricorrenti blackout nel Paese sono il risultato di attacchi informatici provenienti dagli Stati Uniti e il governo di Caracas ha anche riconosciuto di aver ricevuto assistenza dall’Iran per proteggere il cyberspazio nazionale.
Considerando che il Sud America rappresenta un’area in cui ci sono economie emergenti tra le più vivaci, e considerando che offre uno spazio geografico immenso che è possibile sfruttare per il controllo di varie risorse, la sua fragilità cyber (e quindi informativa) rappresenta un serio problema che va affrontato, e se pensiamo che Washington non ha mai abbandonato la dottrina Monroe che vuole gli Stati Uniti come la potenza che esercita la supremazia su tutto il continente americano, ci risulta difficile pensare che l’attività di Hybrid Warfare in quella regione sia appannaggio esclusivo di Russia e Cina.
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