Roma, 26 mar – Qualcuno ha mai fatto caso ai macchinari adibiti al controllo della certificazione verde o banalmente della temperatura corporea? Si pensi all’entrata degli ospedali: per accedere alla struttura è necessario passare attraverso un sensore che rivela la propria temperatura corporea, che appare -insieme all’immagine della propria persona- su uno schermo. E così per altre migliaia di dispositivi elettronici, acquistati affinché controllassero automaticamente la validità del Green Pass. Un’enorme spesa di denaro (oltrepiù pubblico), per aggeggi che avrebbero dovuto avere vita temporanea.

Green pass, uno strumento che potrebbe proseguire?

Oppure ci si aspetta che possano continuare a permanere, anche con la fine della crisi pandemica? Si badi bene: ci sono state spese altamente inutili, tra cui i famosi banchi a rotelle, poi gettati fisicamente (nelle discariche) e mentalmente (nell’oblio). Ma possiamo supporre verosimilmente che lo Stato abbia speso cifre esorbitanti per macchinari adibiti al controllo elettronico di ogni cittadino, per poi semplicemente gettarli via? Secondo delle nozioni basilari di economia politica, una spesa è legittimata se il beneficio sarà uguale o maggiore del versamento iniziale.

La gestione della pandemia da Covid-19 è stata portata avanti a suon di decreti-legge che, in ambito giuridico, fanno capo a situazioni di necessità e urgenza (Art. 77 Cost.). Tali situazioni sono per definizione stessa corrispondenti ad un periodo breve, tanto è vero che lo stesso decreto legge perde efficacia se non viene ratificato. Dunque sorge un’incoerenza massiccia: che funzione possono avere dei macchinari pensati per un beneficio a lungo termine, di fronte ad una situazione che per sua stessa natura tende ad essere temporanea?

Spese davvero alte

Parliamoci chiaro: fossero stati acquistati migliaia di termometri manuali (modello pistola), che hanno un costo irrisorio, si sarebbe potuto capire; ma in questa sede si parla di componenti hardware e software avanzati, che si compongo inoltre di telecamera e monitor. Teniamo conto che il costo di un tale macchinario varia dai €1500 fino a svariate migliaia di euro. Si calcoli che in Italia si contatto circa 1004 ospedali pubblici, che necessitano ognuno di almeno due o tre termoscanner (uno per ogni via di accesso).

Ma queste macchine hanno poi bisogno di manutenzione, aggiornamenti e anche di un dipendente fisso il cui compito sia solamente quello di controllare la temperatura sul monitor. Possiamo accorgerci da soli di quanto il gioco non valga la candela. Ad un occhio puramente critico, questa corrispondenza suonerà strana: permangono computer acquistati per monitorare la persona, in un periodo in cui si discutono temi legati alla libertà individuale. Le città che puntano ad escludere dalla circolazione auto a motore termico, la volontà di imporre il pagamento elettronico (punto di frizione per un liberale classico, ma che gode dell’ampio sostegno di persone che ritengono che il contante sia il casus maleficus dell’evasione), le nuove classi energetiche, e così via.

Sono tutti punti che, per quanto possano essere ritenuti fondamentali per il futuro, non fanno altro che escludere larghe fette di persone, in una società che -a parole- si professa inclusiva. Ora l’uso della certificazione verde -fortunatamente- è ridotta all’osso, se non scomparsa del tutto, ma proprio per questo dobbiamo stare vigili. Se prima era abitudine dover esibire il QR code, mostrare la fronte ad un calorimetro, legare indissolubilmente la propria routine ad un’app, ora l’esistenza di questi strumenti elettronici (tra cui l’app di tracciamento degli smartphone per avvisarci qualora fossimo entrati in contatto con persone positive) è passata in secondo piano, non ne diamo più importanza. E invece dovremmo sapere che futuro avranno apparecchi in grado di monitorarci, quando il loro uso originario si è esaurito.

Cosa accadrà?

Un’altra semplice domanda: se dovessimo entrare in un ambiente pubblico per cui è necessario il controllo della temperatura (come -appunto- un ospedale), e inavvertitamente quest’ultima dovesse superare la temperatura massima permessa (perciò potremmo essere “infetti”), la nostra immagine con la temperatura segnata in rosso verrebbe registrata? É lecito pensare al sistema cinese? Come è noto (e come dovrebbe esserlo a tutti) lo stato -repressivo- cinese sfrutta a 360 gradi i congegni elettronici e informatici per controllare il comportamento della popolazione e discrimina i “buoni” cittadini dai “cattivi” cittadini, limitando le libertà a questi ultimi.

Questo sistema, conosciuto come “credito sociale cinese”, non fa altro che assegnare un vero e proprio punteggio ad ogni cittadino, che può scendere o salire in base alle azioni che compie quotidianamente (attraversare con il rosso, gettare spazzatura per terra, ecc). I comportamenti dei cittadini sono rilevati attraverso telecamere sparse nelle città, che riescono ad identificare il “malfattore”. Un fatto inquietante, che sembra passare inosservato (soprattutto a causa del silenzio delle reti di comunicazione) è la facilità con cui nella società cinese i cittadini “cattivi” vengano umiliati pubblicamente: ad esempio, nelle sale cinema cinesi, prima del film, vengono proiettate le foto e le informazioni personali delle persone che hanno un punteggio sociale basso, dunque non sono perfettamente allineate al modello cinese. Certo, fortunatamente siamo ben lontani dall’impronta oppressiva dello statalismo cinese, ma si convenga che dovrebbe essere di dominio pubblico ciò che lo stato riserverà a macchinari in grado di scannerizzare, in modo pressoché uguale, i cittadini italiani. È una situazione paradossale: tutti vanno negli ospedali pubblici, eppure nessuno si è mai chiesto il destino di questi macchinari che ci controllano ad ogni entrata.

Alberto Emilio Pasini

Ti è piaciuto l’articolo?
Ogni riga che scriviamo è frutto dell’impegno e della passione di una testata che non ha né padrini né padroni.
Il Primato Nazionale è infatti una voce libera e indipendente. Ma libertà e indipendenza hanno un costo.
Aiutaci a proseguire il nostro lavoro attraverso un abbonamento o una donazione.