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Forni, ospedali e decessi: cosa non torna sul Covid in Cina

Foto e immagini di ospedali pieni, con reparti di terapie intensive prese d’assalto da pazienti contagiati dal Covid, contro le rassicurazioni dei media, secondo cui la pandemia sarebbe sotto controllo e la maggior parte delle infezioni non risulterebbe critica. Le testimonianze rilanciate dai media internazionali di presunti forni crematori travolti di lavoro, con file di persone in attesa di salutare per l’ultima volta i loro cari uccisi dal virus, contro i numeri ufficiali diffusi dalle autorità che hanno registrato poche decine di morti dal 7 dicembre scorso ad oggi. E ancora: dati forniti da soggetti diversi che cozzano tra di loro, alimentando dubbi e incertezze. Siamo in Cina, dove potrebbe essere in corso la più grande epidemia di Covid-19 mai esistita al mondo, da quando Sars-CoV-2 ha fatto la sua comparsa tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020. 

La questione cruciale non riguarda tanto il numero delle infezioni, o se oltre la Muraglia si sia effettivamente generato l’epicentro più grande della pandemia di Covid, quanto piuttosto se Pechino sia in grado di tenere sotto controllo la minaccia. In altre parole, il governo cinese rischia davvero di essere travolto da un’ondata senza precedenti oppure, al contrario, non c’è motivo di preoccuparsi e tutti gli allarmi sono amplificati?

Ci sono alcuni indizi che potrebbero aiutarci a rispondere alla domanda in maniera quanto più obiettiva possibile, in relazione alle confuse notizie sul tema filtrate dalla Cina. In ogni caso, come vedremo, ci sono diversi aspetti che rendono lo scenario epidemiologico cinese quanto meno controverso.



Dati e numeri sui contagi

Partiamo dall’episodio chiave che ha, di fatto, innescato l’aumento dei contagi in Cina. L’improvviso smantellamento della Zero Covid Policy – perpetuata attraverso blocchi di massa, test e tracciamento dei contatti – ha spogliato i cittadini cinesi delle loro certezze. Resta da capire se, accanto all’impennata di contagi, anche il sistema sanitario del Paese è davvero impreparato e sopraffatto dall’emergenza.

L’inversione a U di Pechino ha inoltre allarmato gli esperti sanitari internazionali, preoccupati per la trasparenza del governo cinese in merito alla raccolta dei dati, oltre che causato scintille diplomatiche con alcuni governi stranieri, che nel frattempo hanno iniziato ad imporre restrizioni ai viaggiatori provenienti dalla Cina.

Quante persone sono state contagiate in Cina? Non ci sono cifre nazionali affidabili. Dopo aver ammesso la difficoltà nel continuare a tracciare le infezioni, a dicembre la Commissione sanitaria nazionale cinese ha smesso di riportare i conteggi giornalieri. I dati sono tuttavia ancora raccolti dal Chinese Center for Disease Control and Prevention (CDC), sulla base dei conteggi degli ospedali e delle Commissioni sanitarie locali. Il problema principale è che i test di massa obbligatori sono stati abbandonati e, di conseguenza, si ritiene che la cifra ufficiale in possesso delle autorità possa sottostimare enormemente il tasso di infezione. 

Dall’8 gennaio, secondo il CDC, ci sarebbero stati poco più di 500.000 casi confermati di Covid dall’inizio della pandemia. Ecco il primo campanello d’allarme da monitorare: il numero dei contagi. Che, ripetiamo, non basta, da solo, a determinare la gravità di un’epidemia, ma che contribuisce a misurare la temperatura pandemica cinese. Ebbene, le dichiarazioni dei governi locali indicherebbero che il numero reale di contagi in Cina sarebbe molto più alto di quanto sostenuto dal governo centrale.

Basti pensare che i funzionari della provincia dello Henan hanno stimato questa settimana che l’89% dei 99 milioni di residenti provinciali sarebbe stato contagiato dal Covid. Nella provincia dello Zhejiang, alla fine di dicembre i funzionari affermavano invece che la provincia stava registrando oltre un milione di nuove infezioni al giorno. All’8 gennaio, inoltre, sempre secondo il CDC, tutte le 31 province, comuni e regioni cinesi avevano segnalato infezioni da Covid.

Forni crematori e ospedali

Un altro indizio da monitorare chiama in causa il numero dei decessi da Covid. Le imprese di pompe funebri e i forni crematori in numerose città in tutta la Cina avrebbero registrato una forte intensificazione delle attività nelle ultime settimane. Eppure, il governo di Pechino ha riconosciuto finora solo 40 persone morte di Covid in tutto il Paese dal 7 dicembre scorso (poco più di 5.200 dall’inizio della pandemia).

Le immagini satellitari fornite dalla società statunitense Maxar Technologies avrebbero (il condizionale è d’obbligo) mostrato un incremento nelle attività delle imprese di pompe funebri rispetto agli ultimi mesi e all’anno scorso, in almeno sei grandi città cinesi: Pechino, Shanghai, Kumming, Nanjing, Chengdu e Huzhou. Una segretaria all’impresa di pompe funebri di Jiangnan, nella città di Chongqing, ha riferito al Washington Post di “code molto lunghe” per accedere alla struttura, già da prima di Natale. “I freezer sono pieni, e tutte le otto camere ardenti stanno operando 24 ore al giorno, sette giorni su sette”, ha detto, senza fornire il suo nome. La richiesta sarebbe così elevata che almeno quattro delle imprese di pompe funebri cinesi contattate dal quotidiano statunitense hanno dichiarato di aver sospeso qualsiasi servizio funebre o commemorativo per i familiari del defunto, limitandosi a fornire uno spazio per la cremazione.

Sui social, inoltre, sono diventate virali le immagini di ospedali pieni di pazienti. Al 25 dicembre, l’occupazione dei letti di terapia intensiva negli ospedali secondari e terziari in tutto il paese era di circa il 54%, ma da allora tale cifra è aumentata all’80%, ha dichiarato Jiao Yahui, direttore del Dipartimento degli affari medici del National Health Commissione, in un’intervista all’emittente statale CCTV.

I funzionari hanno però rassicurato il pubblico osservando che il tasso di mortalità della variante omicron del coronavirus è dello 0,1%. L’attuale epidemia sarebbe infatti costituita principalmente dalle sottovarianti omicron BA.5.2 e BF.7 , ha fatto sapere l’Ufficio informazioni del Consiglio di Stato in una conferenza stampa del 9 gennaio.

Variabile campagna

I pochi test effettuati, la definizione ristretta di ciò che conta come morte Covid e l’immensità territoriale della Cina sono tre aspetti che contribuiscono a distorcere le statistiche. Inoltre è importante distinguere l’epidemia all’interno delle grandi megalopoli, dove il peggio sarebbe passato, da quanto potrebbe presto accadere nelle aree rurali e meno avanzate del Paese.

Le autorità cinesi affermano che  per le città cinesi il picco dei contagi è passato. Adesso il Dragone si starebbe preparando per una nuova ondata nelle campagne, che dovrebbe accelerare nei giorni compresi nelle prossime vacanze del Capodanno lunare che inizieranno il prossimo 21 gennaio.

Bloomberg ha acceso i riflettori sui villaggi della contea di Luyi, nella citata provincia dello Henan. In casi normali, nelle ultime settimane, i residenti di centinaia di villaggi che compongono la contea abitata da 1 milione di persone avrebbero estratto olio dalle arachidi coltivate in casa e macellato maiali, oche e polli in previsione delle vacanze. Al contrario, i residenti che starebbero oggi attraversando i campi di grano di un villaggio sarebbero tutti diretti nella stessa direzione: la clinica di Wang Jian, l’unico posto dove ricevere cure di base. Tutti gli altri residenti sarebbero bloccati a letto a combattere il virus – che si starebbe diffondendo a macchia d’olio – o chiusi in casa nella speranza di non essere contagiati.

La situazione potrebbe ulteriormente aggravarsi quando i membri più giovani della comunità, che lavorano nelle grandi metropoli, torneranno per il Capodanno lunare. Probabilmente portando con sé ulteriori quantità di virus. La piena portata della situazione epidemiologica nella Cina rurale, dove la raccolta e la sorveglianza dei dati di base è sempre stata più permeabile che nelle città, potrebbe non essere mai conosciuta.

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