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Dal teorema su Trump alla Costituzione: perché la giustizia Usa è in crisi

Un’America debole. Questa è l’immagine che Washington restituisce di se stessa da Capitol Hill in poi e che sembra trasparire anche dall’epopea giudiziaria dell’ex presidente Donald Trump. Dal caso legato all’indagine di New York ci si aspettava molto, nonostante il processo debba ancora cominciare. A seguito dell’indictment, che aveva segnato numerose prime volte per la giurisprudenza americana, la “Città sulla collina” sembra a rischio frana più che mai.

Dai due tentativi di impeachment, passando per i 34 capi di imputazione di questa notte fino ai documenti top secret “dimenticati” nella sua residenza, è abbastanza chiaro che su più fronti, al di là delle colpevolezze dimostrabili o meno, il sistema americano spera in una via giudiziaria percorribile e lecita per eliminare politicamente Trump. Ma soprattutto per fargli scontare il dramma di Capitol Hill, qualora la sua colpevolezza a tal proposito non potesse essere dimostrata. Un desiderio non solo dei Dem, ma anche di una buona fetta del Gop non-MAGA che non tollera più le bordate di un uomo che a modo suo ha sconvolto gli Stati Uniti d’America.

Nessuna restrizione per Trump: perché?

La vicenda legata al pagamento dell’ex pornostar e i suoi corollari giudiziari sembrava prestarsi a questo obiettivo: un affare “minore”, talmente scusabile da sembrare ai limiti del Puritanesimo, con il quale temporeggiare su altre vicende più scottanti. Magari arrivando a una condanna incisiva, che avrebbe potuto sgravare chi si sta occupando dell’affaire Capitol Hill dall’incombenza di dover essere i primi a incriminare The Donald. Chi, però, voleva un Trump fiaccato dallo stress e in manette questa notte è rimasto deluso: considerando i toni esacerbatisi negli ultimi giorni, sembra quasi che la procura di Manhattan abbia perfino usato i guanti di velluto.

Perché è vero che i 34 capi di accusa sono importanti e implicano anche la cospirazione, ma sono comunque stati degradati a felony di classe E. Inoltre, non è stata tolta a Trump la sua arma più potente: la parola. Nessuna limitazione su social e media, nessun divieto di tenere comizi o eventi, nessun veto sulla la campagna elettorale. Del resto, come spiegavamo qui, un candidato potrebbe perfino condurre una campagna per la Casa Bianca dal carcere, se lo volesse. Non solo, ma il giudice del tribunale di Manhattan ha deciso di non imporre un gag order, ossia la consegna del silenzio sul caso, chiedendo a entrambe le parti di astenersi da commenti che potrebbero portare a disordini civili.

Se, dunque, questo tribunale voleva portare avanti una causa politica, di certo questa notte ha fatto molte concessioni al tycoon, apparentemente invisibili. Per non farne un martire? Per la pace sociale? Forse, ma questo depotenzia senza dubbio il ruolo del quale il processo sembrava essere investito. Le oltre trenta accuse mosse a Trump, infatti, viaggiano su un filo sottilissimo: all’accusa è infatti affidato il compito di dimostrare che quei reati “veniali”, frutto di vizietti privati, facessero parte di un mosaico volto a turbare la campagna elettorale del 2016. Ma soprattutto, che l’intenzione di cedere alle lusinghe dell’hush money appartenesse a Trump (il politico) e non a Trump ( il marito fedifrago) eterno playboy. Un panegirico da principe del foro o da azzeccagarbugli, a seconda del punto di vista, che debilita il tempio della democrazia americana.

I limiti della Costituzione americana

Il basamento di quel tempio, ovvero la Costituzione del 1787, sembra vacillare da troppo tempo, soprattutto quando la sua souplesse cozza ripetutamente contro il vuoto legislativo. Quando venne redatto l’articolo 2, descrivendo alla perfezione compiti e poteri dell’Esecutivo, i costituenti sembrarono presi dall’ossessione di proteggere la Rivoluzione e di riempire di significato il potere del loro Comandante in capo. Sulle caratteristiche che quell’uomo doveva avere, ci si “accontentò” di pochi dettagli come la nascita e la residenza (per evitare una futura svolta monarchica o lealista verso Londra) e un’età minima. Nulla di più.

Ci si spinse addirittura a discettare del suo celibato o meno, ma sua fedina penale o della sua vita precedente la scalata verso Pennsylvania Avenue nulla venne scritto. Il che lascia spazio ad aberrazioni inimmaginabili di fronte all’inesistenza di divieti che restano solo morali. Eppure, la Costituzione americana è stata creata all’origine con la possibilità di essere emendata. Quella singolare carta, allora definita come working expedient, che nacque non come un manifesto ideologico ma solo di un insieme ben congegnato di ordinamenti e regole, ora sembra inadatta di fronte alla ricerca di cavilli all’interno di un caso gigante come l’odissea politica di Trump.

Manhattan teatro del processo

A tratti, sembra inoltre come se la procura di Manhattan voglia fossilizzarsi in maniera ossessiva anche sull’aspetto fiscale della vicenda. E qui ritorna il parallelo paradossale con Al Capone. Non si può, infatti, dimenticare che questo processo si svolgerà nel cuore finanziario d’America e del Mondo, e questo è un aspetto affatto secondario che ricorda che in America tutto si può perdonare tranne che i reati fiscali. In questo caso, poi, si tratterebbe di ciò che la giurisprudenza americana chiama white collar crime: questi crimini non sono violenti, ma non sono senza vittime.

I crimini dei colletti bianchi possono distruggere un’azienda, spazzare via i risparmi di una vita di una persona, costare agli investitori miliardi di dollari ed erodere la fiducia del pubblico nelle istituzioni. Non è un caso che questo tipo di reato faccia più scalpore di altri negli Stati Uniti: si tratta di un retaggio storico e culturale che guarda ai crimini di questo tipo come un’attentato alle più grande libertà americana: quella economica. Del resto, Donald Trump incarna l’immagine del robber baron dell’Età dorata: ricco, guascone, senza scrupoli, a-morale.

Più di vent’ani fa Robert Dahl si chiedeva Quanto è democratica la Costituzione americana? Non negava né il coraggio dei Padri fondatori né la tenuta dell’architettura istituzionale che essi costruirono due secoli fa. Ma non smise mai di sottolineare che si trattasse di uomini (maschi, bianchi e benestanti) che, pur di trovare l’accordo, non esitarono a legittimare la schiavitù e che arrivarono alla storica scelta fra regime presidenziale e regime parlamentare in modo quasi casuale, scegliendo alla fine il primo perché si “era fatto tardi ed era tempo di tornare a casa”. È giunto, dunque, il tempo di vergare un XXVIII Emendamento?

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