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Chi è Maria Lvova-Belova

Maria Alekseyevna Lvova-Belova nasce il 25 ottobre 1984 in quel di Penza, il capoluogo dell’omonimo oblast’ nella Russia europea, e ivi cresce e studia, ricevendo un’educazione conservatrice dai genitori e dedicandosi al volontariato e all’attivismo civico sin dalla gioventù.

Inizialmente interessata più alla musica che alla politica, la Lvova-Belova frequenta il Collegio di cultura e arti Alexander Arkhangelsy di Penza, presso il quale consegue il diploma nel 2002, e trascorre gli anni successivi tra casa e centri comunitari. La casa dove la attende una famiglia votata all’espansione – cinque figli biologici e diciotto adottati. I centri comunitari dove insegna le arti musicali ai bambini e promuove la coesione sociale nella piccola Penza.

Il 2011 è l’anno della svolta: la trasformazione dell’attivismo civico in attivismo politico. Entra nella Camera civica dell’Oblast’ di Penza con un mandato di tre anni, poi riottenuto nel 2017. Carismatica, preparata e propositiva, la Lvova-Belova risalta rapidamente tra i colleghi e viene avvicinata dalla coalizione dei partiti della destra putiniana, il Fronte Popolare Panrusso, della quale diventa copresidente della sezione di Penza. L’inizio di un percorso che di lì a breve l’avrebbe portata alla corte di Vladimir Putin.

Il 2019 è l’anno del salto dal Fronte Popolare Panrusso a Russia Unita, il partito-espressione di Putin, all’interno del quale la Lvova-Belova tenta la scalata – che le riesce. Poco dopo l’ingresso nel partito, forte dell’endorsement di Dmitrij Medvedev, viene eletta nel Presidio del Consiglio generale di Russia Unita in concomitanza con l’assunzione della copresidenza di un gruppo di lavoro dedicato al miglioramento delle relazioni con la società civile.

Nel 2020, come segno di gratitudine per il prestigio dato alla piccola e semisconosciuta Penza, l’appena rieletto governatore, Ivan Belozertsev, incarica la Lvova-Belova di rappresentare l’oblast’ presso il Consiglio federale della Russia. Ruolo poi riconfermato l’anno seguente, a seguito di un ritorno prematuro alle urne, dal successore Oleg Melnichenko.

Il passo da Russia Unita al Cremlino è breve. La Lvova-Belova gode della buona parola di Medvedev. Ha un curricolo sociale impeccabile: sposata con un prete ortodosso, col quale ha messo in piedi una famiglia tradizionale funzionale e funzionante, e priva di macchie – come indagini e condanne – di qualsiasi tipo. Putin desidera conoscerla di persona, dopo aver intravisto in lei del grande potenziale ad uso e consumo del Cremlino.

Il 27 ottobre 2021, evidentemente colpito dai colloqui con la Lvova-Belova, Putin mette la giovane e carismatica politica venuta da Penza a capo della Commissione federale per i diritti dell’infanzia. Un incarico più importante di quello che potrebbe sembrare, data la centralità delle politiche nataliste e profamiglia all’interno dell’agenda conservatrice del Cremlino.

La scalata della Lvova-Belova ai vertici della piramide putiniana non è passata inosservata al di fuori della Federazione Russa. Nel corso del 2022, in ragione della stretta vicinanza a Putin, era stata inserita nelle liste nere dei russi sotto sanzioni di Regno Unito, Stati Uniti e Unione Europea.

I paesi occidentali non erano stati i soli attori ad aver posato gli occhi sulla Lvova-Belova durante l’anno uno della guerra in Ucraina. Nei sei mesi successivi all’inizio della cosiddetta operazione militare speciale, invero, il nome della commissaria era finito sulle scrivanie degli inquirenti della Corte Penale Internazionale. Il sospetto era che stesse supervisionando e coordinando la presunta campagna di deportazioni illegali di bambini ucraini dai territori occupati dalle forze armate russe. Campagna che, secondo le varie stime, avrebbe comportato la sparizione dall’Ucraina di un numero di neonati, bimbi e adolescenti compreso fra diecimila e trecentomila.

Il 17 marzo 2023, dopo un anno di raccolta di prove documentali, indizi e testimonianze, i sospetti della Corte Penale Internazionale hanno assunto la forma di un mandato di cattura. Tra le evidenze più curiose e plateali a suo detrimento, oltre ai post sui social network e alle interviste con la stampa russa in materia di trasferimenti illegali di bambini ucraini – dipinti in termini di salvataggi umanitari –, l’adozione di un quindicenne di Mariupol avvenuta il mese precedente all’emissione dell’ordine di arresto.

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