Mentre in Italia infuria il caso Cospito, da qualche giorno offuscato dal caso Donzelli, a Bruxelles, anzi a Strasburgo, al Parlamento europeo assume forme sempre più inquietanti l’attacco alla casa con la direttiva per l’efficientamento energetico.
Nuovo accordo
La notizia di ieri è che non c’è alcun passo indietro, la direttiva addirittura rilancia, alzando ulteriormente l’asticella: gli edifici residenziali dovranno raggiungere le classi energetiche E e D (non più F ed E) rispettivamente entro il 2030 e il 2033. Praticamente domani. Una ulteriore stretta che sembra andare nella direzione del compromesso siglato il 21 ottobre scorso dal Consiglio dei ministri dell’energia, con lo scriteriato beneplacito del nostro ministro Pichetto Fratin.
Questo sarebbe l’accordo politico raggiunto tra i gruppi Ppe, Socialisti, Renew Europe, Verdi e Sinistra sul testo che dovrebbe essere votato in commissione il prossimo 9 febbraio.
E non bastano ad alleggerire la stangata la promessa di una maggiore flessibilità sui tempi concessa ai singoli Stati membri, di deroghe per edifici storici, seconde case o edilizia sociale, né di ulteriori fondi per sostenere le ristrutturazioni – tra Fondo di coesione, Fondo sociale e Pnrr.
Quanto ci costa
In Italia, secondo dati Istat e Ance, nel 2021 il 34 per cento degli immobili era in classe G, il 24 in classe F e il 16 per cento in classe E. Circa il 75 per cento degli immobili residenziali, dunque, pari a oltre 9 milioni, dovrebbe salire in classe energetica D entro il 2033.
Secondo alcune stime, la spesa necessaria in Italia si aggirerebbe intorno ai 1.500 miliardi di euro. Chi paga? E soprattutto, è proprio necessario questo salasso?
Si è molto giocato con le versioni nelle settimane scorse, a seconda che si considerasse la proposta della Commissione del 2021, l’accordo più “ambizioso” siglato in Consiglio lo scorso 21 ottobre, o il testo in esame a Strasburgo. E si è persino giocato con le parole, tra edifici e immobili.
Effetti devastanti
Ma invertendo l’ordine dei fattori il risultato non cambia. Un piano ciclopico irrealizzabile, capace solo di causare enormi sofferenze economiche e sociali.
“Effetti devastanti”, è l’allarme lanciato da Confedilizia dal 2021. A cominciare dal deprezzamento immediato del valore degli immobili, passando per l’indebitamento di famiglie e imprese, la riduzione dei consumi, i rischi per il sistema bancario, per finire con l’esplosione dei prezzi dell’edilizia e la spinta inflattiva.
L’Ance, l’associazione dei costruttori, sceglie l’ironia per denunciare l’assurdità del piano Ue: se nel periodo 2017-2019 abbiamo ristrutturato mediamente 2.900 edifici all’anno, saranno necessari 630 anni per raggiungere il primo step della direttiva e 3.800 anni per arrivare alla decarbonizzazione completa degli edifici.
L’esperienza del Superbonus
Che gli immobili da ristrutturare siano 9 milioni o 3,7 milioni, a seconda delle versioni, per rendersi conto dell’ordine di grandezza completamente fuori scala basta dare un’occhiata ai numeri del Superbonus 110 per cento. Secondo i dati dell’Enea, a fine dicembre 2022 gli interventi sono stati 360 mila in due anni (2021 e 2022), per oneri a carico dello Stato pari a 68,7 miliardi di euro.
Ma attenzione: immaginiamo cosa accadrebbe se non solo in Italia, ma in tutta Europa milioni di immobili dovessero essere ristrutturati contemporaneamente, nell’arco di pochi anni, anche se con fondi europei. L’offerta non riuscirebbe a stare al passo della domanda e i prezzi esploderebbero. Qualcosa che abbiamo già visto accadere nel nostro Paese proprio con il Superbonus.
Ricordiamo infatti che il governo Draghi è dovuto correre ai ripari, depotenziandolo e anzi sabotandolo. Non solo per l’onere insostenibile sulle casse dello Stato, ma anche per la spinta inflattiva che ha determinato. Migliaia di famiglie e imprese stanno ancora piangendo: 15 miliardi di crediti bloccati e 25 mila imprese a rischio, titolava ieri il Sole 24 Ore.
Ecco, considerate che secondo le stime più caute (3,7 milioni di immobili) la direttiva Ue imporrebbe dieci volte il numero degli interventi finanziati dal Superbonus, ad un ritmo doppio: 370 mila l’anno anziché in due anni.
I 600 mila euro a condominio e i 100 mila a villetta che vengono stimati oggi sono quindi del tutto irrealistici, perché appunto non tengono conto dell’esplosione dei prezzi. Resta un mistero come si possa solo immaginare di imbarcarsi in una impresa così folle essendo appena passati per l’esperienza del Superbonus.
Ancora pochi giorni fa l’eurodeputato di Fratelli d’Italia Nicola Procaccini si diceva d’accordo con “l’intento generale” della direttiva, ritenendo sbagliati “modalità e tempi”.
Ma il problema della direttiva non sta nelle scadenze troppo ravvicinate, nella mancanza di flessibilità o nel far leva sull’obbligo anziché sugli incentivi. Il problema è proprio “l’intento generale”, l’approccio dirigistico e pesantemente distorsivo del mercato.
Ingiustificato dal punto di vista scientifico: non c’è prova che i cambiamenti climatici siano dovuti alle attività umane. Sproporzionato rispetto a qualsiasi analisi costi-benefici: la riduzione delle emissioni sarebbe comunque minima, a fronte di una spesa mostruosa.
Secondo i calcoli di Sergio Giraldo (La Verità), “la riduzione delle emissioni operative in Italia sarebbe di 41 milioni tonnellate all’anno, pari allo 0,11 per cento delle emissioni globali… Un nulla che però ci costerebbe 1.500 miliardi”.
La direttiva Ue sulle case green non si può migliorare, va rigettata nell’obiettivo e negli strumenti.
Greenexit
Come abbiamo più volte ripetuto su Atlantico Quotidiano, il governo Meloni dovrebbe contrastare l’agenda e la narrazione green, portando il nostro Paese fuori da questi piani folli, come la messa al bando delle auto a benzina e diesel (e ora si parla delle caldaie a gas), non limitandosi a negoziare – ammesso che ci riesca – ritocchi cosmetici, rinvii e deroghe.