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Boris Johnson al centro della scena: stiamo assistendo al suo ritorno? – Daniele Meloni

Rishi Sunak è il primo ministro in carica, Sir Keir Starmer sarà – molto probabilmente – il futuro inquilino di Downing Street, ma a tenere banco nella politica britannica è sempre lui: Boris Johnson. Un uomo solo al comando, si potrebbe dire: non fosse che Johnson il comando lo ha perso nel luglio 2022 e non si è ancora capito se intende riaverlo.

La visita a Kiev

Nello scorso fine settimana l’ex leader Tory si è recato a Kiev dal presidente Zelensky, ha ricevuto la cittadinanza onoraria della capitale ucraina e, una volta tornato ha voluto raccontare quanto visto in un lungo reportage sul Daily Mail.

La scrittura era vintage Johnson: un mix di auto-promozione, nobili ideali umanitari quasi gladstoniani, pastiche linguistico e crescendo letterario per raccontare gli orrori di Bucha e Borodyanka e per scuotere nuovamente le coscienze occidentali di fronte alla guerra scatenata da Putin in Ucraina. Johnson è parso come il primo ministro in carica in quel di Kiev, alfiere di quella Ostpolitik che Londra sta perseguendo nei Baltici, in Polonia e anche più nord in Svezia e Finlandia dallo scoppio delle ostilità quasi un anno fa.

Il faro della base

Poi, lo abbiamo visto di rientro dall’Ucraina rispondere – con uno sgargiante cappellino di lana con pompon e pantaloncini corti – alle domande di un giornalista di Sky News sul presunto prestito da 800 mila sterline che l’attuale direttore della Bbc, Richard Sharp, avrebbe agevolato in suo favore qualche anno fa.

I media e i giornali non fanno che parlare di lui. ITV ha rispolverato le vecchie storie del partygate per tirarlo in ballo nuovamente sullo scandalo che ha segnato formalmente la fine della sua premiership. Gli iscritti al Partito Conservatore si chiedono quando tornerà: è ancora lui il faro della base Tory, l’unico che può mobilitarsi per impedire che il Labour torni al governo nel 2024.

I suoi amici-finanziatori come Lord Cruddas, e i suoi sostenitori nel partito Tory – una su tutte: l’ex ministro della cultura Nadine Dorries – chiedono a gran voce che torni entro la fine del 2023 e sfidi Starmer alle elezioni dell’anno successivo.

Hanno fondato il Conservative Democratic Movement con lo scopo di dare più peso agli iscritti del partito dopo che i parlamentari conservatori hanno fatto fuori BoJo e Liz Truss – i prescelti dalla base – per imporre senza alcun voto delle “sezioni” Rishi Sunak come leader del partito e primo ministro.

Ma Johnson cosa ne pensa? Quando a ottobre gli si è presentata l’occasione di tornare premier ha nicchiato e poi ha lasciato perdere. Il timing era sbagliato. Ha annunciato la sua intenzione di correre nuovamente per il collegio di South Ruislip and Uxbridge a Hillingdon, nell’ovest di Londra, dove difenderà poco più di 8 mila voti di vantaggio. Bene, dicono i detrattori: sarà la peggiore disfatta di un Tory dai tempi di Michael Portillo nel 1997.

Eppure qualcosa si muove

Lui intanto si dà da fare con i discorsi, attraverso i quali pare abbia già incassato oltre un milione di sterline in giro per il mondo. Segno che vuole mollare la politica e darsi alla sua passione per l’ars retorica e le belles lettres? Chissà. Intanto, la Harper Collins l’ha già messo sotto contratto per le sue memorie di Downing Street. E fanno altre 800 mila sterline.

Ma tutto questo movimento, questo bougisme in salsa inglese, qualcosa dovrà pur dire. Nella serie tv Yes, Prime Minister un funzionario di Whitehall sostiene che i politici amano “dare l’impressione di darsi da fare: è il loro modo per dire di avere ottenuto risultati”. Nel caso di un politico media savvy – mediaticamente consapevole – come Johnson questo appare ancor più vero.

In giro per il mondo, così come al conservatorissimo Carlton Club di Pall Mall, Londra, simbolo di un toryismo vecchio stampo, Johnson continua a dire di non volere parlare dell’attualità politica inglese. Ma va a finire sempre lì.

La forza dell’incoerenza

E così paventa per i Tories un futuro da “partito globale in favore di tasse più basse”, punzecchia Sunak sulla Brexit e la deregulation e gli ricorda che il Levelling Up, il riequilibrio tra le regioni del Regno Unito, è il punto focale del programma elettorale con cui lui, Boris Johnson, ha vinto le elezioni nel 2019 con la maggioranza più ampia dal 1987 in poi in casa conservative.

I nemici nel partito gli fanno notare che grazie alla sua premiership le tasse sono state portate al massimo dal 1945 a oggi; che lui non è stato in grado di dare un corso più consistentemente liberale alla Brexit e che il Levelling Up è stata sì una buona idea per sfondare la Muraglia Rosso Labour del nord-est, ma che in mano a lui si è risolta solo in slogan senza alcuna pregnanza politica.

C’è del vero in tutto ciò. Ma non si può chiedere certo coerenza a Boris Johnson: il politico inglese che più di tutti ha costruito la sua fortuna sulle sue incoerenze. Stiamo assistendo al ritorno di Cincinnato?

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