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Armi all'uranio impoverito. Cosa sono le munizioni di Londra per Kiev

La notizia per cui il Regno Unito fornirà munizioni anticarro perforanti all’uranio impoverito all’esercito ucraino ha scatenato la dura reazione della Russia. Dopo l’annuncio dato dalla viceministra della Difesa Annabel Goldie in seguito a un’interrogazione di Lord Hylton della Camera dei Lord, Mosca ha detto che “reagirà”, con il ministro della Difesa Sergei Shoigu che ha rincarato la dose dicendo si è “a un passo” dallo scontro nucleare.

La reazione di Shoigu appare sicuramente poco proporzionata rispetto alla notizia delle armi di Londra. Le armi all’uranio impoverito, infatti, non possono essere certamente paragonate all’utilizzo di un ordigno nucleare ed è improbabile che questo tipo di armamento possa condurre a un’escalation atomica. Le munizioni e le corazze dei tank forniti a Kiev non hanno infatti in alcun modo un impatto tale da giustificare rappresaglie nucleari, trattandosi di munizioni ed elementi per carri armati di matrice eminentemente tattica.

Tuttavia, se è da escludere che questi armi siano da considerare “nucleari”, è importante capire cosa provochi preoccupazione non solo a Mosca, ma anche in seno a molte organizzazioni internazionali che si battono per la messa al bando di questo tipo di armamenti.

Materia del contendere, in questo caso specifico, sono i proiettili Charm 1 e Charm 3 utilizzati dai carri armati Challenger. Questi tank, nella versione 2, sono quelli che il governo britannico sta per spedire in Ucraina come parte del proprio pacchetto di aiuti militari per Kiev. La baronessa Goldie, in risposta a un’interrogazione parlamentare, ha ammesso in modo lapidario che insieme ai Challenger 2 saranno inviate “anche le relative munizioni: inclusi proiettili perforanti che contengono uranio impoverito”.

Queste armi fanno parte di una grande area grigia giuridica e politica. Dal punto di vista tecnico, le armi all’uranio impoverito – sottoprodotto dell’arricchimento dell’uranio usato per la sua resistenza, durezza e per la relativamente facile reperibilità – non sono considerate armi convenzionali né radioattive, rimanendo quindi in un limbo normativo per il quale non esiste un trattato che definisca la loro proliferazione né tantomeno impegni sulla sua messa al bando. Il loro pericolo – sottolineano gli esperti – deriva dall’esposizione al metallo e non, come si può credere, dalla radioattività. E questo implica un diverso livello di standard e valutazioni.

Come ricorda il Quotidiano Nazionale, l’impiego dell’uranio impoverito, studiato dalla seconda metà del Novecento – in particolare negli Usa per i mortai – si materializzò per la prima volta nella prima guerra del Golfo in Iraq. Poi l’uranio impoverito fu usato nei Balcani, durante le guerre nella ex Jugoslavia, ancora in Iraq e in Afghanistan, e secondo diverse inchieste anche dai russi in Ucraina nel 2014 e dagli Stati Uniti in Siria contro lo Stato islamico. Grazie alla sua efficacia contro le corazze nemiche, questo sottoprodotto divenne ben presto un elemento imprescindibile di molti arsenali, costituendo una base fondamentale per le munizioni di molti mezzi dei principali eserciti del mondo.

Tuttavia, da quando è iniziato a essere usato in modo corposo nei conflitti, il “depleted uranium”, come viene chiamato in inglese, ha iniziato anche a essere attentamente analizzato da istituti di ricerca nazionali e organizzazioni internazionali, dal momento che diversi militari di ritorno da quei teatri operativi iniziarono a contrarre malattie e subire danni a volte letali. Per molti si iniziò a parlare di “sindrome dei Balcani”, e lo stesso tipo di problema lo ebbero gli americani in Iraq. Inoltre, alcune inchieste hanno evidenziato malattie anche nei civili delle aree vicino dove venivano stoccate o esplose queste munizioni, in linea quindi con gli studi sulla tossicità dell’uranio impoverito che ricadeva al suolo o che si sprigionava in aria attraverso nanoparticelle (seppure nell’arco di pochi metri dal luogo dell’impatto).

Gli studi più recenti hanno dimostrato la pericolosità del contatto dell’uranio impoverito sui tessuti umani. Il Military Health System statunitense afferma, inoltre, che l’uranio impoverito rappresenta “una minaccia radiologica estremamente bassa fintanto che rimane all’esterno del corpo”. Ribadendo in tal modo che il pericolo è l’assunzione attraverso frammenti di metallo o nanoparticelle a contatto diretto con le ferite oppure se inalato, e soprattutto con un’esposizione prolungata nel tempo e per grandi quantità. Anzi, l’MHS afferma anche che non esiste pericolo per quanto riguarda munizioni non sparate o corazze non colpite.

Questa particolare caratteristica dell’uranio impoverito è il motivo per cui la sua collocazione giuridica è ancora ambigua. Tra chi lo ritiene pienamente lecito ed efficace (come il governo Uk) e chi invece ne chiede il bando fino a considerarne l’utilizzo come un’ipotesi di crimine di guerra, al momento non è ancora giunta una soluzione precisa a questa area grigia e nel frattempo, molti Paesi continuano a usarlo almeno fino a che i nuovi mezzi non saranno interamente prodotti senza questo materiale.

L’International Coalition to Ban Uranium Weapons, che combatte da anni per la messa al bando universale dell’uranio impoverito, segnala che diversi Stati hanno ancora nei loro arsenali questo tipo di ordigni e di corazze. Il Regno Unito, che fornirà appunto i famigerati Charm 1 e Charm 3 all’Ucraina, sembra dovrà attendere almeno il 2030 per il ritiro completo dei mezzi che utilizzano quel tipo di armi. La Russia, stando al rapporto dello Icbuw, continua a produrre gli Svinets-1 e Svintes-2 per i propri carri T-80BVM e non sembra intenzionata a cessare questa attività anche grazie alla quantità di sottoprodotto che possiede grazie al lavoro delle centrali nucleari. Gli Stati Uniti, dal canto loro, hanno il medesimo problema dei Challenger 2 britannici: gli Abrams hanno armatura e armi all’uranio impoverito e sono pronti a essere spediti in Ucraina. E lo stesso nodo riguarda i veicoli Bradley. Sul tema, mentre The Intercept segnala che l’amministrazione Biden non ha dato garanzie sul mancato invio di queste armi, Forbes ricorda come Washington già preveda il divieto di esportazione di mezzi con uranio impoverito: motivo per il quale gli Abrams che dovrebbero giungere in futuro a Kiev saranno armati con il tungsteno, il concorrente più costoso e meno efficace che ha garantito all’uranio impoverito la conquista dei mercati.

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