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“Abbiamo sofferto abbastanza”. Le parole del parroco di Aleppo

Quando riusciamo a contattare per telefono fra Bahjat Karacach, parroco di San Francesco d’Assisi, ad Aleppo, la terra ha appena smesso di tremare, come fa ininterrottamente da giorni. “Segno che la terra non è stabile… La gente è continuamente in allerta, non riesce a dormire dentro le proprie case, ha paura. Molti edifici sono a rischio crollo”.

Fra Bahjat non è ancora riuscito a uscire per le strade della città, lì dove è nato e opera insieme al suo ordine. Da quando c’è stata la prima devastante scossa, è rimasto nella parrocchia a dirigere le operazioni di emergenza. “Durante il giorno rispondo alle persone, cerco di coordinare i soccorsi e di dare conforto alle persone che vengono qui: abbiamo accolto 500 sfollati solo ieri, e continueranno a dormire da noi. La gente non sa ancora valutare i danni delle proprie abitazioni, quindi rimane in attesa. Ora c’è bisogno di ingegneri per capire i danni e dire se le persone possono tornare nelle proprie case”.

Il parroco di San Francesco non riesce a fare un elenco preciso di quello che serve alla popolazione. Perché Aleppo non è solo una città devastata dal terremoto, ma una città martirizzata dalla guerra, che vive ancora oggi le conseguenze disastrose del conflitto e delle sanzioni. Ma parlando della principale emergenza del momento, lo sciame sismico che ha colpito la città, fra Karacach ha un solo cruccio: “Abbiamo bisogno di accogliere la gente con dignità, ci servono cibo, acqua, materassi, coperte. I materassi non riusciamo già a trovarli”. Solo finita questa prima fase dell’emergenza inizierà l’altro grande problema: la conta dei danni. “Bisogna poi attendere per valutare i veri danni, vedere cosa si piò fare. La gente avrà bisogno di riparare le case per tornare a viverci. E questa è la vera emergenza del momento. Poi il resto si vedrà”.

Intanto, per la comunità di San Francesco, l’assenza di morti tra i parrocchiani è un primo fondamentale conforto. “Grazie a Dio non ci sono parrocchiani morti qui ad Aleppo. Per fortuna non abbiamo notizia di chiese distrutte, ma solo danneggiate. La nostra, per esempio, ha danni al campanile”. Diversa la sorte dei confratelli a Latakia, altro centro straziato dal terremoto che ha scosso Siria e Turchia. “I fratelli a Latakia sono stati colpiti duramente: alcuni parrocchiani sono morti sotto le macerie, diversi palazzi sono caduti. Ad Aleppo invece si contano una cinquantina di palazzi crollati, ma alcuni qui vicino sono pericolanti”.

La visita del nunzio apostolico, giunto da Damasco per sostenere il lavoro di coordinamento per l’emergenza, mostra la vicinanza di tutta la Chiesa. Serve, in questo momento. Perché la Siria, e Aleppo in particolare, vive in una condizione di precarietà e dolore continui da quando è iniziato la guerra. “Il mio primo pensiero subito dopo la scossa della scorsa notte è stato che è l’ennesima disgrazia che viviamo. Siamo abituati purtroppo a tirare avanti con le difficoltà, ma noi facciamo di tutto per ridare speranza alla gente. Anche se sembra che tutto vada contro la speranza”.

“In questi casi la gente dà il suo meglio. Senza i volontari laici non riusciremmo a fare nulla. Noi siamo due in parrocchia e due altri frati sono in una struttura, Terra Sancta College, e ieri hanno accolto duemila persone”, continua padre Bahjat. “Noi francescani non ci pensiamo due volte, le nostre porte sono aperte a tutti: cristiani e musulmani. Queste tragedie ci uniscono, la nostra umanità ci unisce”.

Per il parroco di Aleppo, il sisma, con la sua tragedia, può forse servire a fare di nuovo puntare i riflettori del mondo sulla tragedia che vive la Siria. “Ora si torna a parlare della Siria, ma qui la guerra non si è mai fermata. Qui continua soprattutto la guerra economica: viviamo situazioni estreme di povertà e miseria. Bisogna far capire al mondo che il nostro popolo ha sofferto abbastanza. Sono 12 anni, abbiamo bisogno di speranza”.

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