Sono entrati nel vivo ieri, al Congresso Usa, i lavori della Commissione sulla “Weaponization” del governo federale presieduta dal deputato repubblicano Jim Jordan. Una sottocommissione della Commissione Giustizia della Camera dei Rappresentanti – tornata sotto il controllo dei Repubblicani dall’inizio di quest’anno, a seguito delle elezioni di midterm del novembre scorso – il cui scopo è indagare sull’uso politico delle agenzie federali, dall’FBI all’HHS, e sui loro attacchi alle libertà civili degli americani.
In pratica, una Commissione d’inchiesta Covid al cubo, dato che l’oggetto della sua indagine non è limitato ad un solo tema, ma si estende a tutti gli ambiti in cui il governo sia intervenuto impropriamente, anche avvalendosi di compagnie private come proxy, per limitare o minacciare le libertà dei cittadini.
Da notare che la sottocommissione presieduta da Jordan è stata istituita appena la nuova Camera si è insediata e poche settimane dopo era già all’opera, mentre da noi, a quasi cinque mesi dall’inizio della legislatura, si stanno svolgendo non le audizioni della Commissione Covid, ma le audizioni (in Commissione Affari sociali) sulla legge istitutiva della Commissione Covid. Surreale.
Comunque, tornando al Congresso Usa, la seduta di ieri era dedicata ai Twitter Files, con le audizioni di due giornalisti, Matt Taibbi e Michael Shellenberger, che in queste settimane hanno rivelato al grande pubblico come opera il “Cartello della censura”, la collusione tra Big Tech e agenzie federali, FBI su tutte, per bannare dai social contenuti e utenti “scomodi” per le politiche governative.
Una vera e propria operazione di sorveglianza di massa e controllo dell’informazione, con la scusa della lotta alle fake news.
La storia del laptop di Hunter Biden
“Il nostro governo ha instaurato un rapporto intimo con Big Tech, li hanno preparati per un’operazione di hack and leak, hanno finanziato il think tank che ha ulteriormente innescato Big Tech e i grandi media, hanno fatto trapelare informazioni per minare il buon lavoro di due senatori e poi 51 ex funzionari dell’intelligence hanno finito l’opera con la loro lettera”.
Nel suo intervento introduttivo il presidente Jim Jordan si riferiva alla soppressione della storia del laptop di Hunter Biden a pochi giorni dal voto per le presidenziali del 2020.
Shellenberger ha spiegato come ha funzionato il “pre-bunking”, per screditare la notizia in anticipo, trovando una “coincidenza interessante” che nell’estate del 2020, i migliori ex FBI venissero assunti da Twitter per diffondere la menzogna che la storia del laptop fosse disinformazione.
Ma la campagna elettorale non è stata l’unico obiettivo degli sforzi combinati di governo federale e Big Tech. Oltre alle elezioni, lo schema della censura ha riguardato questioni di salute pubblica (il Covid e i vaccini), temi ideologici come il razzismo, ma anche la politica estera, il caotico ritiro delle forze Usa dall’Afghanistan e la natura del sostegno all’Ucraina.
La collusione
“Twitter, Facebook, Google e altre società hanno sviluppato un sistema formale per accogliere le richieste di moderazione da ogni angolo del governo: dall’FBI, dal DHS (Dipartimento degli interni, ndr), HHS (Dipartimento della salute, ndr), DOD (Dipartimento della Difesa, ndr), dal Global Engagement Center del Dipartimento di Stato, persino dalla CIA”, ha dichiarato Matt Taibbi alla commissione. E “per ogni agenzia governativa che scansionava Twitter, c’erano forse una ventina di entità quasi-private che facevano la stessa cosa”.
Censurati dati veri
In una delle email riportate da Taibbi, il Virality Project di Stanford, partner di molteplici agenzie governative e di Twitter, raccomanda che le piattaforme prendano misure anche contro “storie di veri effetti collaterali del vaccino” e contro “post accurati che potrebbero alimentare l’incertezza” nel pubblico. Raccomandazioni che si sono tradotte nella censura di tweet che riportavano dati e affermazioni scientificamente accurati e di scienziati di primo piano.
“Non si può avere un sistema sponsorizzato dallo Stato che prende di mira la disinformazione senza colpire l’essenza della libertà di parola”, ha concluso Taibbi.
“Si passa dal contrastare il reclutamento dell’Isis, poi la disinformazione russa, e ora – ha osservato Shellenberger – si trovano in una situazione in cui vogliono censurare informazioni vere, fatti accurati, perché sono preoccupati che le persone possano comportarsi in modi che non vogliono. Ciò implica una lettura nel pensiero ad un livello grossolanamente inappropriato”.
Il “complesso industriale della censura”
Taibbi lo ha definito un “sistema di controllo del pensiero sponsorizzato dallo Stato”, mentre Shellenberger ha parlato di “complesso industriale della censura”, parafrasando il celebre “complesso militare-industriale” del presidente Eisenhower.
“Questo è molto inquietante perché ciò che stanno facendo, quando mettono le etichette sui tweet, è cercare di screditare. È una forma di censura ma è anche una campagna di disinformazione“.
Pressioni per rivelare le fonti
Un passaggio particolarmente accesso delle audizioni è stato quando la deputata democratica Sylvia Garcia ha chiesto a Taibbi di rivelare le proprie fonti, in particolare quando Elon Musk gli avrebbe chiesto per la prima volta di partecipare al progetto Twitter Files, ma il giornalista si è rifiutato: “Non posso dirtelo, purtroppo, perché si tratta di una questione di fonti, e io sono un giornalista. Non rivelo le mie fonti”, ha risposto Taibbi.
Garcia: “Prima hai detto che qualcuno ti aveva inviato attraverso internet un messaggio chiedendo se saresti stato interessato o meno ad alcune informazioni”.
Taibbi: “Sì, e mi riferivo a quella persona come fonte”.
Garcia: “Quindi non ci dirai quando Musk ti ha contattato per la prima volta?”
Taibbi: “Ancora una volta, deputata, sta chiedendo ad un giornalista di rivelare una fonte”.
Garcia ha quindi chiesto se consideri Musk la fonte diretta. “Ora stai cercando di farmi dire che lui è la fonte, non posso rispondere alla sua domanda”, ha tagliato corto nuovamente Taibbi.
A quel punto è intervento il presidente della Commissione, Jim Jordan: “Può, è un giornalista”. “Non rivelerà la sua fonte e il fatto che i Democratici stiano facendo pressioni perché lo faccia è una violazione del Primo Emendamento“.