“Le sanzioni a Mosca? Fanno molto male”, spiega il professor Parsi a Formiche.net. E sulle infrastrutture energetiche strategiche aggiunge: “I tubi sono un investimento talmente costoso che finiscono per essere un elemento di pressione per ritardare la decarbonizzazione”
“In questa guerra ibrida stiamo usando strumenti finanziari che fanno molto male e producono un danno permanente. Forse aiuteranno i russi a capire che loro stanno distruggendo l’Ucraina riportandola al Medioevo, ma noi faremo in modo di riportare la Russia a una condizione analoga, colpendola finanziariamente”.
Così a Formiche.net, commentando l’esplosione ad un gasdotto lituano, il prof. Vittorio Emanuele Parsi, docente all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, di cui è uscito “Il posto della guerra e il costo della libertà” (Bompiani), in cui, tra i tanti temi toccati, si dice no alla costruzione di nuove infrastrutture nel Mediterraneo come l’Eastmed.
L’esplosione nel gasdotto nella regione di Pasvalys, nel nord della Lituania, vicino al confine lettone, fa ritornare di attualità il tema della sicurezza delle infrastrutture energetiche e di una guerra asimmetrica?
Esiste una segnalazione di rischio di attentati alle infrastrutture da parte russa sul territorio dei Paesi dell’Unione. In Italia siamo un po’ distratti su questo, ma ovviamente il rischio c’è e c’è un certo livello di attenzione e di contromisure a livello europeo. Certo, forse il livello di vigilanza e di protezione non è così elevato.
L’occidente, oltre al fronte meramente bellico, è pronto a gestire anche i riflessi paralleli?
È possibile che si proceda per compartimenti stagni, cioè da un lato chi descrive la cronaca della guerra guerreggiata con Paesi diversi da parte di alcuni media, accentuando il dramma umanitario; e dall’altro quelli che invece magari descrivono di più le operazioni militari, segnalando gli elementi di novità. Si rischia però che il comparto energia non tenga conto della dimensione securitaria e si riferisca esclusivamente alla questione del caro-bollette. Molto rilevante inoltre è la questione del rischio sicurezza in termini di materie prime: anche di questo si parla poco.
Dopo la nuova scoperta di Eni nel pozzo esplorativo Nargis-1 nel Mediterraneo orientale si torna a parlare del gasdotto Eastmed (su queste colonne il vicepresidente della commissione Esteri della Camera, Formentini): il tema si mescola al possibile acquisto di F16 da parte della Turchia?
È un problema di sicurezza, visto che con la Turchia le questioni sono sempre spinose e mai così chiare, perché i turchi può darsi che riescano a mettere le mani sugli aerei. Sostanzialmente sarebbe un do ut des sulla sulla sulla questione finnica e svedese della membership rispetto alla Nato. Credo che potrebbe essere quello il tema, altrimenti immagino che gli Stati Uniti non darebbero il disco verde se dovesse perdurare l’atteggiamento turco nei confronti di Svezia e Finlandia. Circa le infrastrutture mediterranee, io penso che l’importante sia non costruire altri tubi.
Per quale ragione?
Perché pericolosamente e più facilmente ostaggio delle crisi internazionali: i tubi sono un investimento talmente costoso che poi dopo finirebbero per essere un elemento di pressione per ritardare la decarbonizzazione. Ora, siccome sappiamo che il gas inquina meno del petrolio e del carbone, ma non è peraltro per nulla un’energia verde, non ha molto senso investire in tubi. Ha molto più senso noleggiare rigassificatori o al limite acquistarne.
Più importazioni e meno consumi: l’Europa di inizio 2023 sul gas sembra promettere meno preoccupazioni?
Ci siamo stoccati bene quest’anno e abbiamo anche un po’ di crisi economica che ha ridotto la produzione industriale, quindi questo comporta anche un minor consumo di gas. Sul fronte italiano la cosa che purtroppo emerge è che l’utilizzo del teleriscaldamento non ha subito una flessione, né in termini di adeguamento alle temperature esterne né in termini di sacrifici necessari per non ritrovarsi a dover subire dei black out.
In questo gennaio i ricavi della Russia sono calati rispetto la vendita di gas all’Unione europea, numeri che ci riportano indietro al 1999. C’è ancora un potere negoziale al Cremlino?
Una parte negoziale è in calo, perché noi comunque siamo fuori dall’acquisto del loro petrolio e del loro gas: siamo fuori in maniera permanente e non ricominceremo a comprare fra tra mesi o quattro. La Russia non avrà più le nostre risorse finanziarie. È questa la dimostrazione che le sanzioni fanno male eccome ai russi e non sono facilmente sostituibili, visto che la Cina importa molto meno e a un prezzo fortemente tagliato, così come capita per l’India. Inoltre la Russia ha difficoltà nuovamente col rublo e ne avrà sempre di più, oltretutto perché il congelamento dei fondi delle banche russe in Occidente diventa sostanzialmente una confisca, perché quei fondi verranno utilizzati per finanziare la ricostruzione dell’Ucraina.
Per cui in questa guerra ibrida stiamo usando con molta forza strumenti finanziari che fanno molto male e producono un danno permanente. Forse aiuteranno i russi a capire che loro stanno distruggendo l’Ucraina riportandola al Medioevo, ma noi faremo in modo di riportare la Russia a una condizione analoga, colpendola finanziariamente.