I riflettori degli Stati Uniti sono sempre più puntati sull’Indo-Pacifico. Per conseguire i suoi obiettivi strategici nella regione, su tutti contrastare l’ascesa della Cina, Washington dovrà necessariamente consolidare i propri rapporti con i partner locali. In Asia, il Giappone, sulla via del riarmo annunciato dal premier Fumio Kishida, è uno dei due alleati americani chiave nell’area. L’altro coincide con la Corea del Sud guidata dal conservatore Yoon Suk Yeol.
Seoul potrebbe diventare il grande jolly Usa, ammesso e non concesso che il Paese riesca a ritagliarsi un ruolo nello scacchiere globale. È questo, infatti, l’attuale grande limite del governo sudcoreano, in prima linea contro la minaccia nordcoreana e a due passi da Pechino.
Come ha spiegato Zack Cooper, senior fellow dell’American Enterprise Institute, nonostante Yoon spinga affinché la Corea si trasformi in uno “stato cardine globale”, il Paese resta poco istituzionalizzato in campo internazionale.
Basta considerare un aspetto: la Corea del Sud è, al momento, l’unico membro del G20 alleato degli Usa che non fa parte né del G7, né del Quad, né, infine, del gruppo di intelligence dei Five Eyes o del patto Aukus.
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Il jolly degli Usa
Se Yoon dovrà cercare di capire come inserire il suo Paese nella griglia di alleanze, patti e gruppi che regolano la regione indo-pacifica, gli Stati Uniti sono chiamati ad offrire un adeguato assist all’alleato strategico per facilitare il suddetto processo. Anche perché Washington, rispetto agli anni passati, ha modificato il suo impegno nell’area, abbracciando un approccio minilaterale ben rappresentato dai richiamati accordi Quad e Aukus.
Attenzione però, perché allo stesso tempo anche Seoul ha modificato il suo modus operandi, passando da un focus ristretto ed incentrato solo ed esclusivamente sulla penisola coreana ad una visione regionale molto più ampia.
Agli occhi di Washington la trasformazione sudcoreana è un vantaggio, ma anche un possibile problema. Il motivo è presto detto: la volontà della Corea di concentrarsi non più solo sui problemi intercoreani, ma su quelli della regione, può far riemergere antichi dissidi con il Giappone. Non una prospettiva rosea per gli Usa, visto che Tokyo, come detto, è l’altro alfiere statunitense con il quale mitigare l’esuberanza cinese.
Detto altrimenti, gli Stati Uniti dovranno farsi garanti dell’equilibrio nippo-coreano, onde evitare che la ragnatela diplomatica costruita nell’area possa frantumarsi.
La variabile Corea
Dal momento che la Corea del Sud ha allineato la sua posizione a quella degli Stati Uniti, Seoul si aspetta adesso che Washington possa integrarla, meglio e più profondamente, nella propria strategia regionale. Del resto, come abbiamo visto, i recenti sforzi statunitensi per creare patti e accordi non hanno mai incluso il governo sudcoreano.
Ebbene, per risolvere questo rebus tanto Yoon che Joe Biden dovranno trovare un punto in comune. A quale formato affidarsi per superare l’ostacolo? Cooper sostiene che l’opzione più interessante potrebbe passare attraverso il dossier tecnologico.
La Corea del Sud, leader nel settore dei semiconduttori, fa parte della cosiddetta Chip4, un’alleanza che comprende Stati Uniti, Giappone e Taiwan, volta a rafforzare le esportazioni di chip e consolidare le forniture mondiali. Il grande rischio, istituzionalizzando di fatto questa alleanza, è rappresentato dall’eventuale reazione cinese, che si sentirebbe esclusa dal mercato dei semiconduttori.
Pechino potrebbe compromettere l’attività delle grandi aziende tecnologiche sudcoreane oltre la Muraglia, ed è per questo che, prima di ogni mossa, Seoul vuole avere le giuste certezze. Seguire gli Stati Uniti è necessario, data la sicurezza del Paese, ma non dovrà comportare un suicidio economico.
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