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Perché il decreto Piantedosi non basta: seguire il modello inglese – Anna Bono

Nel 2022 più di un terzo degli emigranti illegali diretti in Europa (in tutto poco più di 300.000 con un incremento di circa il 77 per cento rispetto al 2021, il più alto dal 2016) ha scelto l’Italia come porta d’accesso.

Arrivi in Italia

Via mare ne sono arrivati 105.140: un aumento del 53 per cento rispetto al 2021 (67.477 arrivi) e addirittura dell’800 per cento rispetto al 2019 (11.471 arrivi). Altre migliaia, forse alcune decine di migliaia, sono entrati via terra: nella sola Trieste, in certi periodi anche cento al giorno e persino di più.

Anche in Grecia nel 2022 gli arrivi sono aumentati, ma non quanto in Italia. Hanno raggiunto il Paese 18.778 emigranti, mentre nel 2020 ne erano arrivati 15.696 e nel 2021 9.157. In Spagna invece gli arrivi sono diminuiti, scendendo a 31.376 mentre nel 2020 erano stati 41.861 e 43.197 nel 2021.

Il decreto del ministro dell’interno Matteo Piantedosi, entrato in vigore il 3 gennaio, prevede sanzioni per le ong che svolgono attività sistematica di ricerca di emigranti illegali da trasferire in Italia e impone che le eventuali richieste di asilo delle persone prese a bordo siano presentate sulle navi delle ong, indirizzate quindi ai governi degli Stati di cui battono bandiera.

Il provvedimento dovrebbe ridurre il numero di arrivi e permanenze in Italia perché le ong “soccorreranno” meno persone (nel 2022 hanno portato nel nostro Paese poco più di un decimo di quelle arrivate via mare) e perché dovrebbe indurre a scegliere altre rotte almeno una parte degli emigranti, quelli che si imbarcano sui gommoni e pagano di più proprio perché sanno che poi verranno trasferiti in sicurezza sulle navi delle ong.

Espulsioni e ricorsi

Il decreto inoltre si propone di rendere più veloce l’esame delle richieste di asilo e affrettare quindi l’espulsione di chi non lo ottiene. Anche la prospettiva di rimanere in Italia per poco tempo (e non per mesi e anni come succede adesso, ospiti dei Cas, Centri di accoglienza straordinaria) e poi essere rimpatriati è un fattore che può far desistere o decidere per un’altra rotta migratoria gli emigranti illegali – e sono più dell’85 per cento – che non fuggono da guerra e persecuzione.

Ma non se, come è successo negli ultimi due anni, quasi il 30 per cento delle persone che non ottengono asilo possono comunque rimanere come titolari di protezione sussidiaria e protezione speciale; e se a molti di coloro che ricorrono in Cassazione viene riconosciuta protezione internazionale, ribaltando il giudizio delle commissioni territoriali peraltro con motivazioni spesso sorprendenti.

I primi 13 giorni del 2023

Il decreto Piantedosi otterrà dei risultati. Li ottenne per breve tempo, finché non fu stravolto, anche il decreto sicurezza del ministro Salvini nel 2018. Ma intanto dal 1° al 13 gennaio sono già entrati in Italia via mare 3.819 emigranti illegali. Nello stesso periodo ne erano arrivati 378 nel 2022 e 340 nel 2021.

Piccole imbarcazioni lasciano le coste africane e quelle turche dirette verso Spagna, Italia e Grecia, cariche di giovani africani e asiatici senza documenti. Troppo poche vengono fermate e costrette a invertire la rotta.

Come impedire gli arrivi

L’Unione europea da anni discute su come accogliere e ridistribuire i richiedenti asilo, senza peraltro aver mai raggiunto posizioni unanimi e accordi risolutivi, mentre dovrebbe concentrarsi su come impedire gli arrivi. Per gli emigranti questo suona come un invito a partire, tanto l’Europa farà spazio.

Regolamentare l’attività delle ong, accelerare le pratiche dei richiedenti asilo, per quanto utile, non basta. Né si può fare molto affidamento sugli accordi per fermare i flussi e consentire i rimpatri stipulati con gli inaffidabili governi dei Paesi di transito e di origine, accordi che finora hanno funzionato molto meno di quanto sperato, tanto più considerando il loro costo elevato.

Bisogna avere il coraggio e la forza di scontrarsi con la narrazione imposta all’opinione pubblica a proposito dei flussi migratori illegali verso l’Europa, tutta volta a far credere doverosa l’accoglienza: chiamando “trafficanti” e non “contrabbandieri” di uomini, come di fatto sono, le organizzazioni criminali usate, e pagate, da chi viaggia senza documenti; evitando di usare i termini “illegale”, “clandestino”, “irregolare”; e abusando invece della parola “rifugiato” per convincere del diritto degli emigranti a ignorare frontiere e leggi.

Il modello Uk

Lo ha capito la Gran Bretagna che, contro questa narrazione, ha deciso di adottare nuove misure di contrasto all’immigrazione illegale, determinata a servirsene nonostante le accuse di violare le leggi internazionali in materia e di adottare provvedimenti deplorevoli.

Nel 2022 sono sbarcati in Gran Bretagna 45.756 emigranti illegali: il 60 per cento in più che nel 2021 e mai così tanti da quando il governo britannico ha iniziato a registrare gli arrivi nel 2018. Nel corso dell’anno inoltre sono state presentate 52.525 richieste d’asilo, il numero più alto degli ultimi 20 anni.

Il primo ministro Rishi Sunak, in continuità con quanto disposto dal governo del suo predecessore Boris Johnson, ha quindi deciso di prendere provvedimenti drastici.

Ha creato un Centro di comando piccole imbarcazioni, su cui convergono forze militari e civili per opporre una riposta coordinata agli arrivi dalla Francia, attraverso il canale della Manica; ha aumentato i fondi destinati all’Agenzia nazionale anticrimine per la lotta contro l’immigrazione illegale; ha stipulato un nuovo accordo con l’Albania, Paese di origine di un terzo dei richiedenti asilo arrivati nel 2022, che prevede il rafforzamento del personale britannico addetto ai controlli di frontiera nella capitale albanese, Tirana; ha attivato più rapide procedure di rimpatrio dei richiedenti asilo respinti.

E lo scorso novembre ha firmato un accordo con la Francia in base al quale finanzierà con ulteriori 63 milioni di sterline un aumento degli agenti e dei droni che pattugliano coste e acque territoriali francesi del Canale della Manica.

Richiedenti asilo in Rwanda

L’iniziativa più criticata è il trasferimento in Rwanda di una parte dei richiedenti asilo. Le loro richieste verranno esaminate dalle autorità rwandesi. Chi otterrà asilo riceverà per cinque anni dal governo britannico aiuti economici e altre forme di sostegno affinché possa integrarsi nella vita economica e sociale del Paese se lo desidera.

Quelli le cui richieste saranno respinte potranno presentare domanda di rimanere in Rwanda ad altro titolo oppure saranno trasferiti nei rispettivi Paesi di origine, nei quali evidentemente non corrono alcun pericolo prova ne sia che lo status di rifugiato è stato loro negato, o in altri stati in cui hanno diritto di risiedere.

Nessuna violazione

Un primo gruppo di sette richiedenti asilo sarebbe dovuto partire alla volta del Rwanda il 14 giugno, ma il volo era stato sospeso all’ultimo momento perché la Corte europea per i diritti umani era intervenuta in favore di uno degli uomini a bordo, un iracheno che nel Paese africano avrebbe corso “il rischio reale di subire danni irreversibili”. Poi sono state avanzate obiezioni di carattere legale.

Ma il 19 dicembre una sentenza della Corte Suprema britannica ha dato via libera al progetto sostenendo che il trasferimento di richiedenti asilo in un Paese sicuro non viola i diritti umani e la Convenzione di Ginevra sui rifugiati.

Facendosi portavoce di altre organizzazioni non governative, Detention Action ha commentato la sentenza della Corte Suprema dicendosi dispiaciuta che sia stata giudicata legittima “la deportazione di rifugiati in uno stato autocratico che uccide la gente e pratica la tortura”. Per il partito laburista il progetto è impraticabile e immorale. I legali che assistono i richiedenti asilo sostengono che sia disumano.

Perché ha ragione Londra

Invece ha ragione la Gran Bretagna. L’articolo 33 della Convenzione di Ginevra afferma infatti: “nessuno Stato Contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate”.

Il Rwanda è un Paese stabile, il suo governo si è impegnato a rispettare e tutelare i richiedenti asilo che quindi saranno al sicuro. In attesa di sapere se otterranno lo status giuridico di rifugiato, saranno liberi di circolare, ospitati a spese della Gran Bretagna nell’Hope Hostel, l’Ostello della speranza ristrutturato per l’occorrenza, dove in passato furono alloggiati alcuni sopravvissuti al genocidio dei Tutsi.

Solo chi ha come obiettivo reale quello di stabilirsi in Gran Bretagna vive la prospettiva di essere trasferito in Rwanda, o altrove, come un danno. Questo in effetti dovrebbe dissuaderlo dallo spendere migliaia di dollari e affrontare i disagi di lunghi viaggi clandestini.

Chi davvero cerca scampo a minacce estreme può accettare serenamente di vivere al sicuro per il tempo necessario in qualunque Paese, tanto più se reso ospitale dalla garanzia che sia la Gran Bretagna a farsi carico dei costi del suo soggiorno.

Respingimenti

Il governo britannico sta inoltre pensando di respingere chi chiede asilo arrivando da un Paese sicuro, in cui la sua vita e la sua libertà non erano minacciate. È il caso dell’Albania, da cui provengono tanti richiedenti asilo, e della Francia, da cui partono gli emigranti illegali. E, di nuovo, la Gran Bretagna ha ragione.

Seguire l’esempio inglese

Anche la Danimarca ha in progetto di trasferire i propri richiedenti asilo in stati terzi, extra Unione europea, e ha avviato contatti tra l’altro proprio con il Rwanda.

Il ministro dell’interno austriaco Gerhard Karner il 25 novembre 2022 ha proposto all’Unione europea di adottare “procedure di asilo in Paesi terzi sicuri sul modello della Danimarca e della Gran Bretagna”.

Richieste analoghe sono state avanzate da altri Stati europei nel corso degli anni. Karner ha aggiunto che per chi è originario di Paesi sicuri non ci dovrebbe neanche essere bisogno che si aprano delle pratiche individuali.

Nel rispetto della Convenzione di Ginevra, l’Italia potrebbe seguire l’esempio della Gran Bretagna. Avrebbe diritto di non accettare le richieste di asilo di chi attraversa il Mediterraneo partendo da Egitto, Tunisia, Algeria, forse anche dalla Turchia e dalla Libia, nonostante la situazione critica del Paese, perché l’Alto commissariato Onu per i rifugiati vi ha delle sedi.

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