Il conflitto in Ucraina ha fatto emergere lo spazio di una possibile convergenza tra Occidente e Cina per fermare questa guerra e prevenirne altre. Pubblichiamo un estratto del saggio “Il conflitto delle narrazioni” contenuto all’interno del volume “Cina, Europa, Stati Uniti. Dalla guerra fredda a un mondo multipolare”, a cura di Agostino Giovagnoli e Elisa Giunipero, (Guerini e associati)

I rapporti tra Cina, Europa e Stati Uniti – in particolare tra Cina e Stati Uniti – si sono sensibilmente inaspriti. In Occidente si è diffusa la sensazione che la Cina voglia approfittare della benevolenza mostrata in passato da parte americana per “rubare” agli Stati Uniti il ruolo di potenza egemone, forzando a proprio vantaggio le regole del sistema internazionale. Dall’altra parte si è risposto che la Cina aspira confucianamente soltanto ad occupare il posto che le spetta “sotto il cielo”, mentre gli Stati Uniti cercano di impedirglielo. Molti sono i motivi di una contesa che si è inasprita nel tempo e la Cina di Xi Jinping ha cominciato ad accusare gli Stati Uniti di volere una Nuova guerra fredda.

Con la National Security Strategy del 2017, l’amministrazione americana ha esplicitamente ribaltato la linea politica precedente. «Per decenni – vi si legge – la politica degli Stati Uniti è stata radicata nella convinzione che il sostegno all’ascesa della Cina e alla sua integrazione nell’ordine internazionale del dopoguerra avrebbe liberalizzato la Cina».

Ma «contrariamente alle nostre speranze, la Cina ha ampliato il suo potere a spese della sovranità di altri» e perciò deve essere identificata con un “competitore strategico”. Nell’ottobre del 2018, il “Wall Street Journal” ha interpretato un discorso del vicepresidente americano Mike Pence come l’annuncio della Cold War II, parlando del «più grande cambiamento nelle relazioni Usa-Cina dalla visita di Henry Kissinger a Pechino nel 1971». Oltre ad esporre una serie di accuse riguardanti le scorrettezze della politica cinese, Pence espresse la convinzione che si era «arrivati a un punto di non ritorno. Continuare a tollerare quei comportamenti dei cinesi non [era] possibile. Salvo accettare il suicidio dell’impero americano». Nel 2019, Robert Kaplan ha affermato che «è iniziata una Nuova guerra fredda» e nel 2020 Peter Beyer gli ha fatto eco dicendo che la «Nuova guerra fredda tra gli Stati Uniti e la Cina è già iniziata e plasmerà il nostro secolo». L’espressione Nuova guerra fredda si è imposta in molti ambiti diversi – politici, militanti, giornalistici… – e anche in altri Paesi occidentali il suo uso è diventato comune. Non sempre viene utilizzata in riferimento alla Cina o solo alla Cina – a volte l’espressione appare associata a Cina e Russia insieme e altre volte solo alla Russia – ma ha assunto comunque un ruolo cruciale per definire i rapporti sino-americani o sino-occidentali e sottolineare analogie e continuità tra la (vecchia) Guerra fredda e la situazione internazionale del XXI secolo. In realtà, molte analogie sono più apparenti che reali e tante sono le discontinuità rispetto al secolo scorso.

Al centro della (vecchia) Guerra fredda c’era l’Europa, mentre ora molti dei contrasti tra Stati Uniti e Cina riguardano lo spazio dell’Indo-Pacifico (un’espressione coniata da Shinzo Abe per sostituire quella di Estremo Oriente troppo evocativa del ruolo cinese). Il pivot-to-Asia e cioè la svolta verso l’Asia adottata dagli Stati Uniti a partire dalla presidenza Obama è evidentemente una cosa molto diversa dalla loro precedente proiezione verso l’Europa e un’altra novità è costituita dal maggior coinvolgimento di Giappone, Australia, Nuova Zelanda, Corea del Sud. La definizione di “atlantica”, applicata a un’alleanza tra Stati Uniti ed Europa che non può non tener conto dell’Indo-Pacifico e di una confrontation sempre più globale, è diventata inadeguata. Lo spostamento verso l’Asia ha introdotto cambiamenti significativi persino nella identità stessa di ciò che intendiamo per Occidente, uno dei principali elementi di continuità tra le due “guerre fredde”.

Tante differenze rendono lo scenario internazionale del XXI secolo non riconducibile ad uno scontro bipolare come quello tra Est ed Ovest del secolo scorso. Si parla di Nuova guerra fredda a fini “narrativi”: spinge a concentrare l’attenzione su questo antagonismo [tra Stati Uniti e Cina], a ricondurre forzatamente ad esso molti problemi assai diversi tra loro e a concentrare tutte le energie disponibili in una mobilitazione unitaria contro un avversario. Nella (vecchia) Guerra fredda, i due protagonisti principali hanno perseguito l’obiettivo di evitare lo scontro militare diretto. Invece la narrazione della Nuova guerra fredda si è sviluppata in assenza di un solido ordine internazionale e la sua logica spinge due blocchi verso una contrapposizione totale, senza impegnarli ad escludere lo sbocco di una guerra vera e propria che avrebbe effetti devastanti per tutti. Ma anche la situazione del XXI secolo offre chances alla pace.

Pur all’interno del multipolarismo emerge una qualche tendenza bipolare, anche se certo molto meno forte di quella che animava la (vecchia) Guerra fredda. E i due protagonisti di questo neobipolarismo potrebbero svolgere un importante ruolo stabilizzatore.

Il conflitto in Ucraina è in questo senso illuminante. Tale guerra non ha diviso il mondo in due blocchi contrapposti e Stati Uniti, Europa e Cina si sono trovati su posizioni molto diverse ma non sono andati verso uno scontro frontale. Al contrario il conflitto ha fatto emergere lo spazio di una possibile convergenza tra Occidente e Cina per fermare questa guerra e prevenirne altre. In questo caso, non di Nuova guerra fredda si dovrebbe parlare ma di bipolarismo responsabile in vista di un nuovo ordine mondiale adeguato al multipolarismo del XXI secolo.