Il viaggio di Antony Blinken fra Turkestan e valle dell’Indo si è concluso. Lo stratega di Joe Biden, che per l’occasione ha vestito il ruolo dell’emissario, ha recapitato dei messaggi personalizzati agli indirizzi delle cancellerie di Astana, Taškent e Nuova Delhi, tastando il clima del Sud globale in sede di G20, e può ora fare ritorno a casa.
Blinken si è recato nelle terre dell’eterno Great Game con due obiettivi: aumentare l’influenza di Washington nell’Asia centrale postsovietica; ridurre la presa di Mosca su Nuova Delhi. Sarà il tribunale della storia a sentenziare sull’esito della missione dal sapore ottocentesco, giacché i semi della zizzania piantati negli -stan debbono ancora maturare e il fato dell’India sarà determinato da ciò che oggi è un’incognita, ma degli elementi per un bilancio a caldo sono già a disposizione.
L’ombra dell’Ucraina sul G20
Il vertice dei ministri degli Esteri del G20, storico momento di preparazione e riflessione nell’attesa dell’incontro tra i capi di stato, è stato un successo a metà per la presidenza Biden ed una vittoria su più fronti per l’asse Putin-Xi.
Blinken ha sponsorizzato l’inserimento di un passaggio di condanna con oggetto la guerra in Ucraina nella dichiarazione congiunta conclusiva, ma l’esito è stato – prevedibilmente – negativo: i voti contrari di Russia e Cina hanno comportato l’aborto del progetto. Epilogo infelice più per l’immagine dell’India, presidente di turno del G20, che per gli Stati Uniti, per i quali l’unanimità sarebbe stata un mero trofeo alla forma.
Giocando astutamente la carta del malcontento, poiché trattasi dell’ennesimo vertice dell’edizione indiana del G20 privo di una dichiarazione congiunta a causa della questione ucraina, Sergej Lavrov ha chiesto scusa “alla presidenza indiana e ai colleghi dei paesi del Sud globale per il comportamento osceno di alcune delegazioni occidentali, che ha trasformato l’agenda del G20 in una farsa“. Il naufragio dei sogni di grandezza di Nuova Delhi come conseguenza delle politicizzazioni di Washington, alle quali era peraltro contraria; una narrazione che va già riecheggiando, e attraendo consenso, dall’Indo al Resto del mondo.
Il momento di Pechino
La Cina, in concomitanza con la prova di lealtà al partner strategico, ha porto un ramoscello d’ulivo all’organizzatore dell’evento, l’India, nel tentativo di controbilanciare il corteggiamento degli Stati Uniti. Il gesto di distensione è stato simbolizzato dal faccia a faccia tra Subrahmanyam Jaishankar e Qin Gang, che è stato focalizzato sull’escalation lungo la porzione himalayana della frontiera sino-indiana e si è chiuso con la promessa di un maggiore coordinamento.
Russia e Cina, ma in generale i redivivi Brics, hanno poi svolto un ruolo determinante nella materializzazione di una delle brame di rivalsa del Sud globale: l’entrata dell’Unione Africana nel G20. Un traguardo tagliato a Nuova Delhi, col supporto dell’amica Mosca e della rivale Pechino, che Narendra Modi non dimenticherà facilmente. Che contribuirà alla deoccidentalizzazione del G20. E che sarà d’aiuto alle agende per l’Africa di Mosca e Pechino.
L’atteso incontro Blinken-Lavrov
Come ogni grande evento di questo genere, dove a contare realmente è la sostanza – quella ricercata, appunto, dagli Stati Uniti –, i fatti più importanti sono avvenuti ai margini della seduta comune. Ed è accaduto, nell’ultima giornata di lavori, che si siano incontrati Blinken e Sergej Lavrov.
Quello che è stato descritto come un sorprendente fuori programma, in realtà, è stato uno dei motivi conduttori del tour greatgamesco di Blinken. I due strateghi, che si erano visti a Bali – ma non avevano parlato –, hanno discusso per poco meno di dieci minuti. Pochi ma rilevanti gli argomenti toccati: la guerra in Ucraina, il rilascio di Paul Whelan e la questione New Start.
Il bilaterale improvvisato ma pronosticabile, come avevamo anticipato sulle nostre colonne, è stata una vittoria mutilata per l’amministrazione Biden e un successo in termini di immagine per la presidenza Putin. In primis perché non è stato Lavrov ad avvicinare Blinken e a chiedere la possibilità di una conversazione – fatto messo in risalto dalla diplomazia russa, nella persona di Maria Zakharova. E in secundis perché, secondo i testimoni, si sarebbe trattato di un monologo – Blinken loquace, Lavrov silente ma espressivo.
Nel corso dell’incontro, ogni richiesta è stata prodotta da Blinken – la liberazione di Paul Whelan, la riattivazione del New Start, la fine della guerra in Ucraina. Un monologo che ben descrive l’attuale stato delle relazioni Stati Uniti-Russia, al punto più basso della loro storia, ma che è anche indicativo, forse, di una volontà – da parte americana – di chiudere il conflitto prima che si riveli una vittoria cadmea per Kiev e prima che, sottraendo eccessive risorse dal dossier Indo-Pacifico, si trasformi in una spada di Damocle per Washington.
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