Il successo delle forze Conservatrici
Michele Prospero — 8 Aprile 2023
Dopo il voto finlandese, Stefano Folli si domanda giustamente se non sia in atto uno smottamento profondo che sposterebbe a destra gli orientamenti dell’opinione pubblica europea. Finché regge l’asse politico franco-tedesco, il pericolo di una deriva sovranista in agguato è contenuto nel suo impatto deflagrante. Con la coalizione multicolore che a Berlino mostra segni di stanchezza e la crisi di legittimazione che scuote la Quinta Repubblica francese, è però arduo confidare nell’infinita capacità di tenuta delle due democrazie guida della vecchia Europa.
Il dato più allarmante del cammino trionfale delle destre è che ad essere coinvolti nella loro (in apparenza) irresistibile ascesa sono i paesi più ricchi, con economie non certo in sofferenza, livelli consistenti di benessere materiale e invidiabile tenuta dei servizi dello Stato sociale. Una semplice analisi sulla povertà e sul disagio sociale, almeno in questi casi (diverso sarebbe il discorso sul Mezzogiorno italiano), non è la più indicata per spiegare il successo delle forze conservatrici. Sarebbe persino più semplice da capire il fenomeno, e politicamente più gestibile la protesta, se dietro la presa dei simboli della destra ci fosse una questione di sfiducia riconducibile ad un vistoso scivolamento di massa nelle condizioni materiali. Non ci sono domande strettamente economiche relative all’esclusione e alla drastica perdita di status dietro la svolta registrata nei paesi del Nord.
La sinistra non riesce a parlare in maniera persuasiva al mondo del lavoro perché, anche negli Stati dove l’impatto del trentennio neoliberista è stato nel complesso assai più circoscritto, non dispone di efficaci proposte per gestire politiche innovative per la società post-industriale (liberazione del tempo, riconoscimento e promozione delle capacità, governo sociale dei processi produttivi e sviluppo della democrazia nelle aziende). La sinistra arranca anche perché non riesce a prendere bene le misure delle molteplici fratture che rinviano ad una differenziazione spaziale (centro cittadino versus periferie, territori semi-urbani e aree provinciali o interne), ad uno iato culturale (distanze valoriali tra segmenti colti, creativi, sensibili alle nuove tematiche etico-ambientali-civili versus mondi poco scolarizzati ed estranei alla questione della qualità dello sviluppo), ad una difesa dalle migrazioni percepite non tanto come tappe di un’imminente sostituzione etnica e religiosa, quanto come fattore di disturbo quantitativo nel godimento delle conquiste del welfare statale (salute, scuole, abitazioni).
Questo mucchio di incrostazioni (economiche, sociali, culturali), in assenza di un progetto identitario della sinistra, facilita la sciabola delle forze conservatrici che rimuovono i nodi reali in maniera grossolana, con trovate solo propagandistiche. Prima che il principio di realtà smonti la narrazione della destra, rivelando l’inganno di soluzioni sbandierate come miracolose e invece apparse del tutto fallimentari, passa però molto tempo. E così, quando ad esempio l’elettorato inglese percepisce i danni che il popolo stesso si è procurato votando nel referendum per uscire rapidamente dall’Unione europea, è troppo tardi per limitare i guasti epocali provocati. Il pericolo più serio che la Svezia e la Finlandia evidenziano – l’Austria già da anni ha conosciuto questa tendenza, mentre l’Italia vanta una storia ancora più lunga di “sdoganamento” – è quello di un imminente scivolamento a destra dei partiti moderati, popolari e liberali.
Le prove interlocutorie di contratto tra Partito Popolare e Vox in Spagna smascherano una tendenza all’assemblaggio tra il centro e i radicalismi. Un connubio tra sovranismo interno e atlantismo radicale esterno, sventolato come bandiera nella gestione della guerra in Ucraina nel segno di un disarmo politico-diplomatico del vecchio continente, porterebbe a un brusco mutamento qualitativo dello spazio europeo. Una più marcata opzione pacifista dovrebbe essere nelle corde della sinistra, ma essa metterebbe in seria difficoltà le coalizioni (in Germania sono proprio i Verdi i più accaniti censori del tentativo della Spd di smarcarsi dalle divise troppo strette della Nato, mentre in Spagna i Socialisti devono resistere alle suggestioni di Podemos di accarezzare una soluzione politica all’emergenza bellica). Non solo la sommatoria di tanti paesi guidati dai sovranisti (spesso “frugali”) non riuscirebbe a produrre politiche coerenti all’interno dell’Ue in materia economica, ecologica, migratoria, di sicurezza comune, ecc., ma la sola aggregazione che simili governi lasciano ipotizzare è quella attorno ad un’aggressione brutale ai nuovi diritti, alle libertà civili, allo Stato di diritto, ai fondamenti valoriali delle democrazie europee.
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