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La storia di Luka: a 20 anni si pente di aver cambiato sesso – Umberto Camillo Iacoviello

La ventenne Luka Hein, originaria del Minnesota, è una “detransitioner”, ovvero una persona che si è pentita di aver iniziato un percorso di transizione di genere. Un fenomeno in crescita. Ha scelto di cambiare sesso a 16 anni, in un periodo in cui si sentiva a disagio nel suo corpo, prendeva psicofarmaci per la depressione e l’ansia.

Scelta condizionata

L’opzione della transizione le è stata presentata come la soluzione migliore per risolvere i suoi problemi. L’allora sedicenne è stata sottoposta a mastectomia bilaterale (asportazione delle mammelle), ha assunto ormoni e testosterone per quattro anni.

In un video pubblicato sul canale Il Mondo Nuovo 2.0, la giovane donna critica i medici e la comunità trans perché “quando ero un’adolescente – di Luka Hein – mi è stato detto che il disagio che provavo voleva dire che ero destinata ad essere un ragazzo e che se avessi transizionato mi sarei sentita splendidamente, mi sarei sentita euforica, sarebbe stato il massimo”.

La ragazza avrebbe voluto che qualcuno le dicesse “no”. Aveva bisogno di un aiuto psicologico, non di cambiare sesso: “Ero un’adolescente. Non avevo coscienza”.

Troppo facile

Nella registrazione denuncia la facilità con cui si può cambiare sesso: “forse dovrebbero esserci dei paletti, o qualcosa che… non dovrebbe essere così facile ottenere trattamenti medici per queste cose. Non dovresti essere in grado di entrare e andartene con una prescrizione di ormoni lo stesso giorno”.

Per aver detto questo e aver messo in discussione il modo in cui la comunità trans negava il sesso biologico è stata duramente criticata perché dicendo quelle cose non stava contribuendo alla narrazione dei trans.

Luka sente la necessità di condividere la sua esperienza perché “ci sono bambini coinvolti in tutto questo”. Non vuole la pietà di nessuno, parla pubblicamente “nella speranza che le persone sappiano che sta succedendo questo, che è sempre più comune, e che le persone sentano l’altra campana”.

Forse qualche quattordicenne che sta per fare qualche sorta di coming out e pretendere di ricevere ormoni si prenderà qualche minuto per pensare: forse dovrei aspettare. Perché sono sinceramente convinta che se solo avessi aspettato fino a quando sarei stata stabile, e se avessi ricevuto le cure psicologiche di cui avevo bisogno e se avessi soltanto aspettato, aspettato fino a quando avessi raggiunto una stabilità, fino a quando non avessi dovuto assumere antidepressivi, che sarei stata meglio. Lo sarei stata.

Danno irreversibile

Conclude con amarezza:

Non so qual è il mio posto nel mondo. Non c’è posto per me, e non è a causa della transfobia o cose del genere, come Twitter o altre piattaforme vogliono farvi credere. È a causa di ciò che mi è stato fatto, di ciò che ho fatto a me stessa. Non sarò mai un vero maschio e a questo punto non posso neanche tornare indietro. E non so cosa fare. Come ho detto, ero una ragazzina quando mi è successo tutto questo. E vi diranno “non succede, nessuno pratica mastectomie alle adolescenti, è tutto a posto, è reversibile, puoi tornare indietro, puoi fare tutto questo“. E se non puoi? Si chiama danno irreversibile per una ragione. Ora sono qui, a vent’anni, a chiedermi se sarò mai in grado di avere figli, e a sperare, a pregare di non essermi danneggiata irreversibilmente da quel punto di vista.

Un fenomeno drammatico, sempre più diffuso. Tempo fa abbiamo parlato della tragica storia di David Reimer, il bambino cresciuto come una bambina. Cambiare sesso – una moda diffusa da una certa narrazione progressista secondo cui tutto è relativo, anche il corpo – sta letteralmente distruggendo la vita e i corpi di giovani che hanno solo bisogno di essere aiutati, seguiti, non di cambiare sesso per un capriccio assecondato dagli adulti.

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