A volte la ricerca della verità da parte dei media può “fare male” alla verità stessa, condizionando esiti di indagini e verdetti. L’errore o la forzatura possono essere in buona fede. Ma, spesso, gli organi d’informazione barattano l’oggettività, preferendo prese di posizioni comode per imbastire processi mediatici da dare in pasto al pubblico. Alessandro De Giuseppe – inviato de Le Iene, autore di importanti inchieste sulla morte di Marco Pantani e il delitto di Garlasco, tra i super ospiti della masterclass di The Newsroom Academy di video giornalismo investigativo diretta da Alessandro Politi e organizzata da Il Giornale e InsideOver – ci ha spiegato quale deve essere “la bussola” che il giornalista d’inchiesta non deve mai perdere.
Quando i media intralciano il raggiungimento della verità?
Io credo che la cosa fondamentale sia il punto di partenza. E la ricerca della verità a partire dagli atti non può mai fare male alla verità stessa. In un’inchiesta bisogna partire da quello che è agli atti. Dopodiché, bisogna vedere le persone ascoltate per le informazioni sommarie e provare a indagare laddove non sono state fatte indagini.
Qualche esempio, invece, in cui la ricerca mediatica della verità ha inquinato la verità stessa?
Per quanto mi riguarda, mi sono occupato del delitto di Garlasco e di Marco Pantani, dell’inchiesta su Madonna di Campiglio e di quella riguardante la morte a Rimini: in tutti i casi ho raccontato tutto quello che non torna. Bisogna sempre partire dagli atti e poi cercare la verità, e cercarla significa guardare anche dove gli inquirenti non hanno guardato. Questo perché, purtroppo, i pubblici ministeri decidono di vedere certe cose e altre no, soprattutto nei processi mediatici.
L’errore, secondo te, è in buona fede o i giornalisti a volte arrivano ad alterare i fatti per inseguire lo scoop?
L’errore ci può stare, ma deve essere in buona fede, sempre. Non si alterano mai i fatti, si può tagliare la forma ma non il contenuto.
Ti è mai capitato?
No, non ho mai inseguito uno scoop. Ma succede che ci siano giornalisti prezzolati…per esempio, una trasmissione di Rete 4 ha sempre parlato del delitto di Garlasco a senso unico, mentre secondo me l’informazione corretta è raccontare a trecentosessanta gradi quello che è, quello che non è e quello che potrebbe essere. Anche se, per quanto riguarda le inchieste che ho fatto per Le Iene, di errori non ce ne sono stati. A me non interessa fare un servizio o uno scoop in più, a me interessa raccontare la verità. E nel caso del delitto di Garlasco c’è un innocente in carcere, per cui bisogna tentare in tutti i modi di indagare ciò che non è stato indagato e di raccontare ciò che non è stato raccontato.
L’uso del video garantisce più oggettività o, invece, rischia di amplificare le forzature nel riportare i fatti?
Dipende dall’uso che ne fai, del video. L’oggettività è una cosa che prescinde dal video. Come ti dicevo, se parti dagli atti e indaghi dove non sono state indagate, difficilmente sbagli. Se, invece, insegui lo scoop o qualcosa che va al di là del giornalismo d’inchiesta rischi di cadere nella forzatura. Bisogna riportare i fatti per come sono. E proprio uno degli orgogli in merito alle mie inchieste è non aver mai ricevuto una denuncia! La forzatura accade soprattutto in caso di sentenze mediatiche, dove prima si stabilisce un colpevole e poi gli si costruisce intorno un impianto accusatorio.
Qual è la bussola da seguire per trovare l’equilibrio tra cronaca e ricostruzione dei fatti?
La bussola è l’oggettività. È necessario raccontare le cose per come sono, analizzare bene gli atti, controllare gli orari, per esempio. Parlando sempre del delitto di Garlasco, gli inquirenti hanno cambiato l’orario della morte di Chiara tre volte, in base a quando Alberto aveva o non aveva un alibi: questo è incomprensibile, o meglio comprensibile se si capisce da che parte si volessero far andare le indagini…c’è una registrazione di una pm che dice: “Datemi qualcosa per metterlo in carcere perché non ho nulla”. Bisogna essere oggettivi noi nel raccontare, ma anche chi fa le indagini, pm, giudici e forze dell’ordine, deve avere oggettività e onestà intellettuale. La bussola è attenersi agli atti e raccontare i fatti senza mai schierarsi, lasciando che il telespettatore si faccia la sua idea di quello che è avvenuto, di quello che non è avvenuto e di quello che potrebbe essere avvenuto, sempre stando a fatti concreti, situazioni messe a verbale e informazioni sommarie raccolte, di questo si tratta.
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