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Perché l'Aeronautica chiede più F-35

L’Aeronautica Militare Italiana, per voce del suo capo di Stato maggiore, generale di Squadra Aerea Luca Goretti, chiede che l’Italia torni ad annoverare nella sua flotta di velivoli 131 cacciabombardieri F-35 come originariamente preventivato da piani di acquisizione (69 F-35A e 62 B), piani poi ridimensionati nel 2012 dall’allora governo Monti, che ne ridusse il numero a 90 complessivi (60 F-35A e 30 B, questi ultimi ripartiti equamente tra Aeronautica e Marina Militare).

Il generale Goretti, durante un’audizione alla commissione Difesa della Camera tenutasi mercoledì 8 marzo, ha infatti detto che “bisogna ripristinare il numero di velivoli che era stato pensato prima del 2012 ed assicurare adeguate scorte di munizionamento di precisione” precisando che “chiediamo di ripristinare il numero di caccia F-35 originario: erano 131 prima del taglio a 90, quando qualcuno parlava di sperpero dei soldi dei contribuenti. Se vogliamo essere rilevanti in un contesto come quello attuale dobbiamo avere numeri adeguati”.

Il Csm Aeronautica ha specificato che la legge 119 del 2022 “ha invertito la tendenza rispetto alle austere scelte del passato, ma è un primo passo” e serve di più per quanto riguarda mezzi e personale, condividendo quindi le stesse analisi fatte dal suo omologo della Marina Militare, l’ammiraglio di Squadra Enrico Credendino, perché, come ha detto ancora il generale Goretti “non si tratta di una miope escalation verso il riarmo ma bisogna fare ciò che è necessario per difendere l’Italia, nella speranza di non dover essere mai chiamati a farlo” in quanto “l’invasione dell’Ucraina da parte russa ha riportato in maniera improvvisa e dirompente nella nostra vita fantasmi del passato ormai dimenticati, catapultando il continente europeo indietro di un secolo. Convincersi che tutto ciò a cui stiamo assistendo sia un evento isolato, lontano e irripetibile, è mio avviso un errore fatale che non dobbiamo commettere. Basti pensare che la zona di guerra dista in linea d’aria quanto il Brennero da Lampedusa”.

Lo strumento aereo nazionale è stato chiamato, in concomitanza con l’aggressione russa, a rinforzare il fronte orientale dell’Alleanza Atlantica andando ad aumentare il numero di velivoli impiegati normalmente nell’attività di Air Policing Nato con nuove missioni Eva (Enhanced Vigilance Activity), come quella effettuata per un lungo periodo di tempo in Romania.

L’Arma Azzurra, così come la Marina Militare, ha saputo rispondere ai nuovi compiti dettati dall’attuale situazione di instabilità regionale con prontezza e professionalità, ma in generale lo strumento difesa italiano risente di decenni di sciagurate politiche di tagli lineari, che hanno portato a carenza di personale e di mezzi, anche nell’erronea convinzione che potesse bastare dotarsi di un piccolo numero di uno strumento all’avanguardia come l’F-35 per poter mantenere alto il potenziale bellico nazionale, dimenticando che, nei conflitti moderni caratterizzati da ambienti altamente contestati, la quantità è importante quanto la qualità.

Non staremo qui a ricordare come, da queste colonne, più volte e in tempi non sospetti abbiamo sottolineato il deteriorarsi del contesto internazionale, e di come ci fossero tutti i segnali (da almeno 3 lustri) per capirlo. Giova però ricordare come chi scrive abbia da sempre giudicato la politica del taglio degli F-35 come scellerata proprio per i motivi ricordati mercoledì dal Csm Aeronautica e in particolare abbia auspicato che si tornasse almeno al numero originario di velivoli per la nostra Aeronautica e Marina Militare.

L’F-35, attualmente, è un cacciabombardiere multiruolo di quinta generazione che non ha eguali al mondo, e questo è certificato dal numero di acquirenti che ha inanellato nel corso della sua, pur travagliata, storia: la maggior parte delle aviazioni militari europee e molte altre nel mondo (tra cui Singapore, l’Australia, il Giappone e il Canada) hanno optato per questa macchina rivoluzionaria in grado di essere un vero game changer del campo di battaglia odierno, che, lo ricordiamo una volta di più, non è più solo aero-terrestre ma multidominio, integrando il dominio spaziale, quello marittimo e quello cyber. Per sua stessa natura, l’F-35 è i velivolo più indicato a operare in questo ambiente multidominio in attesa di affiancarsi al nuovo caccia Tempest che sta assumendo i connotati di un velivolo di sesta generazione per il dominio dell’aria (o superiorità aerea offensiva).

Il taglio degli F-35 voluto dal governo Monti nel 2021 è andato quindi a colpire un nervo scoperto che oggi si fa sentire in particolar modo, e soprattutto ha interessato le due forze armate che più sono chiamate a difendere i nostri interessi nazionali e a garantire la sicurezza del nostro Paese. Anche la Marina Militare, infatti, si è ritrovata a vedersi assegnati solo 15 F-35B per la propria componente imbarcata, quindi, facendo i debiti conti, con l’impossibilità di avere un numero adeguato di macchine in grado di garantire la persistenza in zona operativa. Da qui la decisione delle due forze armate che operano coi velivoli di quinta generazione Stovl (Short Take Off Vertical Landing), di condividere le proprie flotte in modo da poter sopperire a questa carenza con la nascita del doppio concetto operativo expeditionary land/sea based, in cui gli F-35B di Am e Mm possono venire utilizzati congiuntamente sulle unità portaeromobili nazionali oppure da basi semipreparate (o in gergo “basi austere”) a seconda delle necessità. Qualcosa che ha dato valore aggiunto alle due forze armate e che possiamo considerare l’unica nota positiva di quella sciagurata decisione risalente al 2012.

Come nota a margine delle parole del generale Goretti ci teniamo a sottolineare che i costi per gli F-35 si sono notevolmente ridotti da quel 2012, proprio perché la macchina è giunta quasi a maturazione ma soprattutto perché più se ne producono – per via dei maggiori ordini internazionali – meno costano. Sarebbe quindi arrivato il momento di “mettere mano al bilancio” e ripristinare l’ordine originario, anche in considerazione del ritorno economico nazionale, in quanto componenti importanti dei velivoli vengono prodotte in Italia e assemblate al Faco (Final Assembly and Check-Out) di Cameri (Novara).

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