Nella mattinata del 28 febbraio, in compagnia di cari amici, tutti “familiari” di Nessuno tocchi Caino, siamo stati in visita al carcere di Poggioreale. Non è stata una visita di piacere, ovviamente, ma una visita di dolore, un’ispezione dello stato del luogo e dello stato d’animo di detenuti e detenenti.
Ci sentivamo forti all’ingresso, sereni grazie anche alle nostre personali esperienze, non solo professionali. La forza la traevamo anche dal nostro gruppo, circa dieci, oltre gli scriventi, tra cui c’erano Argia di Donato, Vincenzo Improta, Marco Spena, Marcello Lala, Elena Cimmino, Amedeo Laboccetta, Elena Lepre e poi Sergio D’Elia ed Elisabetta Zamparutti (mancava tanto Rita Bernardini). Un caffè al bar di fronte, l’Angolo della libertà, mai nome più azzeccato, e poi dentro al luogo di privazione – non solo – della libertà. Dopo un briefing con i vertici, la direzione, la polizia penitenziaria, l’area educativa, una attenta discussione intorno ai numeri, alle condizioni di vita e ai copiosi programmi di trattamento. All’apertura immediata delle menti seguiva anche l’apertura dei cuori e allora tutto si trasformava in incontro, dialogo con amministratori del carcere straordinari, sinceri, seri e impegnati a ridurre il danno che la fatiscente, anacronistica struttura arreca.
Siamo stati accompagnati a visitare le celle e i carcerati, a toccar con mano – nelle due sezioni più sconfortanti dell’istituto – il disastro, il disagio, i metri quadri di vita negata; mai bastevoli, perché gli applicativi informatici e le sentenze di Supreme Corti non sono riusciti a rendere umano ciò che, nello scrivere i padri costituenti la Carta fondamentale, appare ancora oggi tanto rivoluzionario, quanto fallimentare nella mancata realizzazione. Se la pena deve essere anche e soprattutto certezza del diritto del condannato, ebbene questo diritto deve essere declinato proprio nei termini descritti e imposti dalla Costituzione: non può esserci carcere senza rieducazione del detenuto. A Poggioreale la rieducazione è un’opera difficile o inesistente, non tanto per mancanza di educatori, ma perché otto e anche dieci uomini sono costretti a vivere in ventiquattro metri quadrati o poco più e, alle volte, anche meno.
Ore d’aria? A volte solo due su ventiquattro, poi, sempre in quei pochi, sporchi, ammuffiti metri quadri arricchiti da un piccolo lavandino, un cesso e non sempre la doccia e non sempre l’acqua calda. Poggioreale ha più di cento anni, li porta malissimo, andrebbe abbattuto, ma è sotto l’egida della soprintendenza ai beni artistici? culturali? chissà? Tant’è che anche eventuali lavori di ristrutturazione e rifacimento – in presenza di fondi che pure esistono in cifra con molti zeri – soggiacciono alle medesime tragiche lungaggini burocratiche che caratterizzano in Italia, famosa anche per questo, il mondo di mezzo degli appalti e delle opere pubbliche.
Poggioreale – ma più in generale il mondo delle carceri italiane – girone infernale dantesco reale, costringe gli agenti di Polizia Penitenziaria a respirare il male, la sofferenza, sottopagati, vecchi, età media 53 anni. Allora sovviene il dato (nazionale) sconcertante dei suicidi in carcere nel corso del 2022: 84 detenuti, 5 agenti; ma occorre ricordare anche, sempre in Italia, i circa mille tentati suicidi, sventati proprio grazie all’intervento di agenti e detenuti, in comunione contro la morte. A Poggioreale su duemilaventiquattro detenuti al 28 febbraio, ci sono (soltanto) ventitre addetti all’area educativa; qui la gioventù caratterizza felicemente l’età media, ma i numeri, nel rapporto detenuti/addetti, dimostrano severi, ancora una volta, che la matematica non è mai un’opinione.
A Poggioreale, oltre alla sofferenza legata al luogo, forse il peggiore nel panorama delle cosiddette democrazie liberali occidentali, ove lo Stato di Diritto anima la Legge, altro diritto, importante, quello alla salute, viene quasi del tutto negato, e ciò in maniera esponenziale al crescere della gravità della patologia. Il farmaco di base, lo psicofarmaco leggero, non si nega a nessuno, ma per le gravi patologie genetiche, cardiache, tumorali … perdete ogni speranza.
Poggioreale però è pieno di esseri umani, belli già solo per questo, che, insieme, quasi sempre senza contrasti e violenza, anzi, in pace, al di là e al di qua delle sbarre, al tintinnio antico delle chiavi, si sforzano, tanto, per portare avanti quella che di fatto è soltanto una baracca.
All’uscita portiamo con noi un grande dolore, addolcito solo dalla nostra fede. Sono sette le opere di misericordia: con coscienza ne abbiamo portata a termine, per un giorno, una soltanto: visitare i carcerati.
Elio Palombi, Alessandro Gargiulo
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