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Perché sotto le macerie del Superbonus resta anche la direttiva case green – Federico Punzi

La bolla, anzi il bubbone Superbonus è esploso e rischia di lasciare dietro di sé un cumulo di macerie. Non solo le imprese e le famiglie rimaste appese ai crediti incagliati – i tempi di sblocco, secondo Abi e Ance, non sarebbero compatibili con la crisi di liquidità delle tante imprese che non riescono a cedere i crediti fiscali, né a compensarli con i loro debiti fiscali.

La cessione del credito

Il provvedimento del governo infatti non tocca il bonus che ha innescato la bomba, ma i meccanismi che hanno permesso di realizzare i lavori. Abolendo cessione del credito e sconto in fattura, che esistono da molto prima il Superbonus 110, ci pare all’incirca dal 2016, di fatto, come direbbero gli americani, butta sotto l’autobus tutti i bonus dell’edilizia.

Che la detrazione sia al 50, 60 o 90 per cento, infatti, poco importa, è la cessione del credito che permette di eseguire i lavori a chi non ha il capitale da anticipare, oppure ha un reddito basso, quindi non abbastanza tasse da compensare con il credito fiscale.

Dei 360 mila interventi in due anni del Superbonus (ma il discorso vale anche per gli altri bonus) solo una minima parte sarebbero stati realizzati senza.

Insomma: no cessione del credito, no lavori. Simple as that. Questo insegna l’esperienza dei bonus edilizi. Questo significa bonus sulla carta anche molto generosi, ma molti meno lavori, meno imprese (25 mila), più disoccupati (100 mila).

Spinta inflattiva

Da qui il dilemma: più il bonus funziona – e per funzionare ha bisogno della cessione del credito – meno è sostenibile per i suoi effetti sulle finanze pubbliche ma anche per la spinta inflattiva che determina, in una spirale che rischia di diventare incontrollabile.

Non si tratta solo del minore interesse di committenti e fornitori a contenere la spesa (tanto paga lo Stato), tanto meno di vere e proprie truffe, ma dell’effetto sui prezzi di una impennata della domanda improvvisa e molto concentrata nel tempo.

Il problema che gli statalisti trascurano è che non esistono pasti gratis. Puoi regalare soldi ai cittadini, illuderli che l’efficientamento energetico si possa fare graduidamente, come direbbe Conte, puoi “drogare” il settore e persino tutta l’economia, ma alla fine il conto arriva, come sta arrivando.

Ecco il paradosso del Superbonus: è un fallimento di successo, perché proprio il suo successo ne ha dimostrato la insostenibilità economica.

Cosa c’entra la direttiva case green

Però i conti bisogna farli fino in fondo. In questa vicenda c’è una gigantesca ipocrisia che nessuno vuole vedere ma che occorre smascherare.

La ormai comprovata insostenibilità del Superbonus mette una pietra tombale sulla direttiva case green, da poco approvata in commissione al Parlamento europeo e in arrivo in plenaria a Strasburgo.

Il conto è presto fatto, anche se nessuno sembra volerlo vedere: se 360 mila interventi di efficientamento energetico in due anni hanno aperto una tale voragine nei conti dello Stato e fatto schizzare i prezzi alle stelle, immaginate cosa può voler dire finanziare lo stesso numero di interventi ma in un solo anno, quindi il doppio, per portare in soli dieci anni, entro il 2033, 3,7 milioni di immobili in classe D. E si badi bene: 3,7 milioni è la stima più cauta dei proponenti la direttiva, ma c’è chi parla di 9 milioni di abitazioni.

Alternative?

Preveniamo l’obiezione: si può escogitare un altro tipo di meccanismo che non sia la cessione del credito. Certo, si può. Ma, come detto, tenendo presente che la detrazione da sola non basta, perché proprio coloro i quali non hanno un capitale sufficiente da anticipare, o un reddito tale da poter usufruire di corpose detrazioni, sono guarda caso gli stessi che vivono nelle case più energivore.

Come si possono finanziare questi interventi in modo che le agevolazioni non restino sulla carta? Con fondi europei, o “mediati” da Bruxelles?

Abbiamo visto tutti di che importi parliamo. Da escludere che tedeschi e olandesi accettino l’emissione di nuovo debito europeo per permetterci di portare il nostro patrimonio edilizio in classe energetica D. E anche se ci permettessero di indebitarci a questo scopo, accordandoci la flessibilità necessaria, si tratterebbe di somme ancor più onerose di quella che ha indotto il governo Draghi prima e il governo Meloni poi a correre ai ripari.

E in ogni caso, nulla potrebbe salvarci dall’esplosione dei prezzi. Con decine di milioni di interventi richiesti in tutta Europa in un periodo così ristretto, per la semplice legge della domanda e dell’offerta i prezzi dell’edilizia schizzerebbero alle stelle determinando probabilmente una spirale inflattiva.

Lo abbiamo sempre sostenuto su Atlantico Quotidiano: sono le politiche green, ben più che la guerra in Ucraina e le sanzioni alla Russia, a generare inflazione.

Il grande inganno

Insomma, se sono troppi i volumi generati dal Superbonus, sia per le casse dello Stato, sia per l’assorbimento della domanda da parte del mercato, figurarsi quelli che verrebbero generati dalla direttiva sulle case green.

Il grande inganno del graduidamende, quindi, non è opera del solo Movimento 5 Stelle – che quanto meno è stato coerente difendendo Superbonus e cessione del credito – ma anche di chi oggi denuncia la “follia” del Superbonus ma non quella della direttiva.

Per centrare gli obiettivi di efficientamento previsti dovresti usare strumenti che però abbiamo visto essere insostenibili persino dopo soli due anni. Ci siamo già passati, ma nessuno sembra voler collegare questo bubbone appena esploso alla direttiva.

Il vero problema

Ora, bisogna capire se a far esplodere la bolla è stato il Superbonus o il meccanismo della cessione del credito. Nel primo caso, il governo Meloni starebbe gettando via il bambino tenendosi l’acqua sporca.

Bisogna considerare che non erano emerse criticità con la cessione del credito degli altri bonus edilizi. È quindi probabile che da un lato la generosità del Superbonus (110 per cento), che ha ampliato a dismisura la platea dei beneficiari, dall’altro l’entità dei singoli interventi, molto costosi, siano le principali cause e non la cessione del credito in sé.

Piuttosto, la libera o quasi circolazione dei crediti di imposta pone un altro problema, di natura monetaria. Un conto infatti è scalare il credito dalle tasse dovute di anno in anno nell’arco di dieci anni. Tutt’altro un credito che può essere ceduto liberamente, passare di mano in mano come una moneta alternativa. Arrivato nei bilanci delle banche, diventa di fatto un’obbligazione, un titolo di Stato, ma senza nuova emissione di debito pubblico.

Se la si vede in questi termini, non può sorprendere che qualcuno a Bruxelles (e a Roma) abbia voluto prendere la palla al balzo per darci un taglio, anche se il bubbone è scoppiato a causa del Superbonus.

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