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Marxisti, non antirazzisti: il caso che rivela la malafede di Black Lives Matter – Michele Marsonet

Tutti i movimenti progressisti (o presunti tali) degli Stati Uniti si sono sforzati, negli ultimi anni, di diffondere l’immagine di un’America strutturalmente razzista. Fenomeni come quello della cancel culture sostengono addirittura che il razzismo è il vero e unico fondamento della vita e della cultura americane. Nulla si salva, poiché anche la Costituzione conterrebbe elementi razzisti, visto che coloro che la redassero erano proprietari di schiavi.

“Defund the Police”

Ad alimentare questo clima d’odio hanno indubbiamente contribuito alcuni episodi di violenza ad opera della polizia che, notoriamente, negli Usa non va per il sottile quando si tratta di arrestare qualcuno.

Con l’uccisione dell’afroamericano George Floyd nel 2020 a Minneapolis, ad opera di un poliziotto bianco, si raggiunse il culmine della polemica. Parlamentari progressisti, con l’appoggio del movimento Black Lives Matter, proposero di tagliare i fondi (defund) alle forze di polizia a livello nazionale, e di diminuire la presenza degli agenti anche nei quartieri più violenti e a più alto tasso di criminalità delle maggiori metropoli Usa.

Proposte assurde, ovviamente, poiché è noto che la criminalità organizzata è molto forte negli Stati Uniti. Togliere la polizia dalle strade significa lasciare alla suddetta criminalità campo libero. E, dove le proposte di tagliere i fondi alla polizia hanno avuto successo, sono stati gli stessi cittadini a chiedere alle autorità di tornare indietro, temendo per la loro incolumità personale.

Ora un nuovo episodio autorizza a dire che quelle di Black Lives Matter sono fandonie senza fondamento alcuno. Mi riferisco all’uccisione dell’afroamericano Tyre Nichols, morto a Memphis lo scorso gennaio in seguito al pestaggio subito da parte di cinque agenti di polizia. Le proteste, anche violente, sono subito scattate.

Questa volta, tuttavia, c’è un “piccolo” particolare che dimostra la malafede di BLM. Si dà il caso, infatti, che i cinque poliziotti autori del pestaggio (e già licenziati) siano essi stessi neri, proprio come la loro vittima.

E non è tutto. Anche il capo della polizia di Memphis è afroamericano, così come buona parte dei comandanti della polizia nelle principali città Usa. Qualcosa quindi non quadra nella narrazione di BLM. Difficile, del resto, accusare di razzismo contro i neri persone che appartengono alla stessa comunità afroamericana. Come uscirne?

Anima marxista

Risposta difficile solo in apparenza. BLM, infatti, dopo aver criticato il fatto che i media si siano concentrati sul colore della pelle dei poliziotti coinvolti, ha fatto notare che tutta la polizia rappresenta gli interessi del capitalismo e spinge la violenza autorizzata dallo Stato.

Un mix, insomma, di marxismo mal digerito e di anarchismo frainteso. A quei cinque agenti occorre “sbiancare” la pelle giacché essi sono neri soltanto in apparenza. In realtà la loro anima è stata catturata dal bieco capitalismo e dai controllori dello Stato, ragion per cui sono, a tutti gli effetti, equiparabili ai bianchi schiavisti e sfruttatori.

Che dire? Si spera soltanto che negli Stati Uniti, scossi da cancel culture, politically correct e quant’altro, la maggioranza delle persone torni finalmente a ragionare isolando tanto gli afroamericani estremisti quanto i cosiddetti “suprematisti bianchi”. Senza un’America forte e ragionevolmente compatta, è inutile sperare che l’alleanza delle democrazie liberali riesca a sconfiggere l’asse delle odierne autocrazie.

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