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L'anno da incubo del soldato italiano in trincea: “Noi inchiodati in una buca, inutili e assiderati”

Kiev. Il treno che arriva nella capitale da Kramatorsk, linea del Piave sul fronte del Donbass, sembra una tradotta della seconda guerra mondiale zeppa di soldati sopravvissuti al ferro e al fuoco della prima linea. Barbe lunghe, mimetiche e sguardi persi nel vuoto. Pochi parlano, nessuno fa una battuta o abbozza un sorriso anche solo per lo scampato pericolo e la meritata licenza. In molti sono dei miracolati che hanno visto la morte in faccia. Alcuni sono feriti lievemente, ma il trauma più profondo, che forse non verrà mai cancellato, è la guerra che ti rimane dentro per sempre. I militari sono quasi tutti ucraini, giovani e di mezz’età, reduci da mesi di trincee nel Donbass, ma non mancano alcuni volontari stranieri come il ragazzino canadese di colore con il visore notturno sull’elmetto. E un italiano orgoglioso di portare lo scudetto tricolore sulla giubba e sul basco blu.

“Vengo dal Donbass, dopo mesi di trincea vicino a Lyman, anche sulla linea zero, a contatto con i russi”, racconta Giorgio Nardini, 53 anni, originario del Viterbese. Da tempo viveva in Ucraina e subito dopo l’inizio dell’invasione si è ritrovato con la casa distrutta dai missili russi. “Allora mi sono arruolato con la Legione internazionale. Ero anche nella base dei volontari stranieri vicino al confine polacco poi polverizzata dai bombardamenti russi”, ricorda Nardini, fisico tozzo e sguardo perso come gli altri reduci. Nello scompartimento non smette mai di parlare, come se fosse uno sfogo. Non è difficile capire che deve essere sprofondato nel tunnel dello stress post traumatico da combattimento. “In questi ultimi mesi nel Donbass è stata dura, molto dura e difficile da raccontare”, spiega interrompendosi ogni tanto travolto dai ricordi dei combattimenti. “In trincea per giorni era un incubo.

Se non venivi ammazzato dai russi rischiavi di perdere il controllo del corpo per il freddo. Non ti puoi muovere. Sei bloccato dentro una buca mentre bombardano di continuo”, spiega Nardini. I russi vanno all’assalto a ondate e non smettono mai di sparare con armi pesanti e leggere. “È impressionante – ammette – Quando un carro armato ti tartassa con dieci cannonate di fila, la testa sembra che scoppi solo per il rumore delle esplosioni”, ricorda il volontario italiano, che ha pure il passaporto ucraino. Il momento più drammatico è stato “quando un commilitone francese di 37 anni era uscito leggermente fuori dalla linea di trincea, neanche un metro, per garantire fuoco di copertura a dei ragazzi più giovani sotto tiro. Lo hanno ucciso davanti ai miei occhi”. Nardini ha il groppo in gola, quasi non riesce a parlare: “Mi ha colpito… non lo dimenticherò mai”. L’italiano si lascia andare sui russi: “Sono ben riforniti, riscaldati e hanno munizioni che sembrano non finire mai. Noi siamo inchiodati in trincea, bloccati, inutili e congelati. Dobbiamo solamente mantenere la posizione ad ogni costo”. Nardini mostra orgoglioso i video di quando spara con il kalashnikov e di come usano i mortai sul fronte del Donbass. Per non parlare delle foto, un po’ da spaccone, in sella a una moto da cross mascherato da ninja.

Dopo mesi in trincea incontrare dei giornalisti italiani è un modo per buttare fuori tutto nella speranza di uscire dall’imbuto della guerra. Il bombardamento a saturazione d’area dei russi è una delle tattiche più impressionanti. “I missili sono arrivati sui mezzi mentre ci spostavamo – ricorda Nardini – Macchine che si capovolgevano e volavano in aria come nei film. Le esplosioni è come se ti risucchiassero l’aria. Ti lasciano il vuoto dentro, tantissimo”. L’onda d’urto penetra nel corpo e il volontario mima l’effetto con un “whoom” rendendo l’idea dell’incubo. Nonostante la tensione di ripercorrere la guerra in trincea, Nardini alterna silenzi a frasi a ripetizione. Solo alla fine il groppo in gola sembra prevalere sul combattente. “Mia figlia si chiama Sofia e vive a Ostia – dice -. Le voglio un bene dell’anima. La saluto con un bacio”.

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