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La storia di Federico, uscito dal carcere e diventato un senza tetto: “Ha pagato tutto ma suo figlio finge di non conoscerlo” – Il Riformista

Lettere al Riformista

a cura di Rossella Grasso — 12 Febbraio 2023

La storia di Federico, uscito dal carcere e diventato un senza tetto: “Ha pagato tutto ma suo figlio finge di non conoscerlo”

Non sempre chi sbaglia, finisce in carcere e sconta per intero la pena, salda il suo debito con la giustizia, poi viene perdonato e riabilitato alla vita. Anzi questo è forse un lusso di pochi: lo stigma dell’essere un “ex detenuto” accompagna tanti a vita. Lo sa bene Luigi Mollo, corso di laurea in scienze politiche relazioni internazionali diritti umani presso l’Università degli studi di Padova, progetto Università in carcere. Un giorno gli è capitato di fare la conoscenza di un senza tetto, Federico (nome di fantasia), ex detenuto che ha scontato per intero la sua pena. Ma il ritorno alla vita da uomo libero non è stata una gioia incontenibile come tanti si aspetterebbero. Anzi, dall’uscita del carcere è iniziata la sua discesa verso gli inferi. La sua storia è emblematica e lo ha molto colpito. Ecco perché ha deciso di scrivere una lettera al Riformista per raccontarla. Riportiamo di seguito le sue parole.

Nella vita ho capito che gli uomini hanno poca intenzione di perdonare gli errori nonostante c’è chi come me che li ha pagati tutti innanzi la legge. Vi racconto la storia di Federico (nome di fantasia), 47 anni,  problemi con le droghe e una denuncia per aggressione ad un carabiniere diventata poi condanna definitiva. Aveva un figlio, una casa, un impiego, e in un attimo, uno schiocco di dita, si è rotto il ghiaccio sotto i suoi piedi ed è caduto nelle gelide acque della detenzione, distruggendo definitivamente la sua esistenza.

Ora dopo aver pagato il suo debito, vive sotto i portici della mia città, come letto uno strato di cartone sopra al marmo freddo, e coperte che in questa stagione non bastano mai. Mi dice in un amaro sorriso che era più confortevole il materasso che aveva nella sua cella, ed io noto un sacchetto ove sta dentro tutto il suo mondo e tutti i suoi ricordi, oggetti sparsi alla rinfusa che estrae esibendo come fossero una prova tangibile della sua esistenza e, con voce ferma e seria mi dice: “vedi che non è sempre stata così la mia vita, anche io sono stato felice”.

Mi accorgo che è un uomo impegnato a conservare la propria dignità, mani e viso puliti, qualche libro ordinato per terra, telefono e portafoglio nascosti nelle mutande. Parla a ruota libera con me che sono un perfetto sconosciuto e mi dice che tutti non ne potevano più di lui, e che la solitudine è stato il suo inizio verso la discesa; la notte dorme poco, il mal di schiena morde e ogni tanto qualcuno prova a rubargli qualche oggetto di poco valore. Racconta che la sera i volontari passano sempre con cibo caldo e in quel momento esce dalla sua solitudine e per un attimo sente ancora le attenzioni di qualcuno che non lo ha dimenticato, aggiunge anche che esiste ormai un patto con la polizia locale, che non interviene se si lascia il portico privo di spazzatura, altrimenti i commercianti poi protestano.

Mi turba profondamente quando mi rivela che il figlio lavora in un negozio non distante dal suo riparo, e che tra i due vige un patto di non conoscersi, due singoli elementi nel paesaggio circostante. Uscire dal carcere, ritrovarsi senza un tetto diventa un lavoro a tempo pieno, finisci per contare i giorni e poi resti in quelle condizioni per anni. A mio avviso, l’uscita dal carcere non è automaticamente un approdo felice, assomiglia a un’odissea prolungata e conosce le sue tempeste, come una vela spezzata e solo ricucita, esposta ai venti amici o nemici dell’aiuto o dell’ostilità sociale.

Se solo si potesse tornare al secondo prima di commettere l’errore, ma il tempo corre in avanti e non può tornare indietro. Il dopo-carcere è uno stigma pesante, perché si sale la china con il passo di chi è ferito. La recidiva la si costruisce giorno per giorno nell’ozio di una cella. Le misure alternative sono una speranza in cui credere, e solo un uomo giusto le può concedere ad un uomo sbagliato, mira ad evitare danni di questo tipo, migliora la condizione psicologica inflitta dalla privazione della libertà.

a cura di Rossella Grasso

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