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La guerra in Ucraina e l'occasione mancata dell'autonomia strategica europea

L’invasione russa dell’Ucraina il 24 febbraio 2022 verrà ricordata tra gli eventi cardine del XXI secolo.

Ad oggi non vi è un aspetto delle relazioni internazionali o dell’economia globale che non sia stato toccato da questo conflitto e dalle reazioni che ha provocato. Appena tre decenni dopo la caduta del muro di Berlino, si prospetta una Guerra Fredda 2.0, con un riallineamento geopolitico globale che avrà impatto su commercio, filiere e reti finanziarie in tutto il mondo.

Il celebre antropologo e storico francese Emmanuel Todd sostiene addirittura che sia cominciata la Terza Guerra Mondiale, aggiungendo che le leadership coinvolte mostrano una preoccupante “vertigine nichilista”.

A Mosca il conflitto viene percepito come una questione esistenziale per la Russia; tuttavia, vi sono segnali che potrebbe trattarsi di una questione esistenziale anche per le democrazie occidentali. Il Segretario Generale della NATO ha persino affermato che il vero rischio non sia un’escalation, ma una vittoria della Russia.

Chiunque sarà a prevalere otterrà un ruolo maggiore nel dettare le regole del futuro ordine mondiale, e in particolare se quest’ultimo continuerà ad essere sotto l’esclusiva leadership statunitense o se si sposterà verso un vero e proprio sistema multipolare.

In seguito a questo conflitto, nulla potrà più essere come prima; ma per le relazioni transatlantiche, l’invasione russa dell’Ucraina è stata una vera panacea.

Nel 2019, l’allora Presidente degli Stati Uniti Donald Trump aveva minacciato di ritirare gli Stati Uniti dalla NATO se i suoi altri membri non avessero incrementato la propria spesa militare. Fece seguito il Presidente francese Emmanuel Macron, il quale sostenne che “Stiamo assistendo alla morte cerebrale della NATO” e che “L’alleato degli Stati Uniti sta voltando le spalle a questioni strategiche”.

Nell’estate del 2021 poi, Stati Uniti e NATO si ritirarono rovinosamente dall’Afghanistan. L’umiliante fuga da Kabul suscitò seri dubbi sull’Alleanza e fomentò forti tensioni a livello transatlantico.

Oggi la situazione è cambiata radicalmente, e per questo dovremmo tutti ringraziare la decisione sconsiderata di Vladimir Putin. Se si dovesse pensare ad un modo per celebrare la rinascita delle relazioni transatlantiche, non ci sarebbe niente di meglio di un busto del leader russo collocato in maniera provocatoria all’interno del salone del Consiglio del Nord Atlantico a Bruxelles, con sotto la scritta “L’uomo che ha salvato l’Alleanza Atlantica”.

Oggi la NATO e l’Unione Europea stanno fronteggiando la Russia in Ucraina in maniera coesa, fornendo enorme sostegno economico e militare, e anche attraverso le sanzioni più dure mai imposte alla Russia. Quest’ultime includono l’interruzione di tutte le forniture di petrolio e gas in Europa, il congelamento di circa 350 miliardi di dollari in fondi russi depositati presso banche occidentali, ed il significativo aumento della spesa militare dei Paesi europei, con la Germania che ha annunciato un aumento senza precedenti di 100 miliardi di euro. Se l’espansione orientale della NATO verso l’Ucraina si è momentaneamente arrestata, quella verso nord sembra proseguire senza intoppi, con gli imminenti ingressi da parte della Finlandia e, se la Turchia acconsentirà, della Svezia.

La coraggiosa visita del Presidente Biden a Kiev il 20 febbraio è stata il momento più iconico di questa sequenza di successi.

Non si dovrebbe sorvolare su come la guerra abbia suscitato reazioni che vanno ben oltre il continente europeo e l’alleanza transatlantica.

Lo scorso maggio, l’Alleanza Atlantica lanciò il suo nuovo Strategic Concept dichiarando che “La Federazione Russa è la minaccia più significativa e diretta alla sicurezza degli Alleati, alla pace e alla stabilità dell’area euro-atlantica… [e alle] regole dell’ordine internazionale”.

Anche la Cina è stata inclusa nel Concept per la prima volta, rimarcando come “[le sue] ambizioni 

dichiarate e politiche coercitive sfidano i nostri interessi, la nostra sicurezza ed i nostri valori. […] Tentano di sovvertire le regole dell’ordine internazionale. […] Il rafforzamento della collaborazione strategica tra la Repubblica Popolare Cinese e la Federazione Russa […] mira ad erodere l’ordine internazionale”.

Un’evoluzione politica radicale: se la Russia era il principale fornitore energetico dell’Europa, la Cina è ancora il più grande partner commerciale dell’Unione Europea, nonché degli Stati Uniti.

Da allora, sia la NATO che l’Unione Europea hanno adottato non solo la posizione degli Stati Uniti verso la Russia, ma anche le loro crescenti preoccupazioni nei confronti della Cina. È tutto costruito sulla narrativa dell’Amministrazione Biden che ha incorniciato l’attuale momento geopolitico come il punto di flesso per un epico confronto tra regimi democratici ed autocratici.

Per fronteggiare le autocrazie di Russia e Cina, la rinnovata collaborazione transatlantica è anche pronta a digerire una maggiore e pericolosa coordinazione tra Mosca e Pechino, come non accadeva dal culmine della Guerra Fredda negli anni ’50 e ’60. Sembra che la NATO e l’Unione Europea stiano abbandonando la globalizzazione per come l’abbiamo conosciuta negli ultimi trent’anni. Le filiere tradizionali compresa quella energetica stanno cambiando o venendo riconsiderate, le rotte commerciali reindirizzate, ed espressioni come near-shoring, re-shoring e de-coupling vengono ora utilizzate di frequente nel gergo economico e commerciale.

Sebbene sia l’esito che il costo finale di questo cambiamento geopolitico siano ancora incerti, non c’è dubbio sul fatto che l’Europa abbia già pagato il prezzo più caro.

La diversificazione di forniture energetiche da quella russa sta presentando conti salati per i consumatori europei e per la competitività delle loro economie. Le sanzioni ai danni della Russia, insieme a quelle che incombono sulla Cina, rischiano di mettere tutte le filiere sotto forte pressione e di interrompere una relazione commerciale sinora così tanto proficua. In mezzo alle conseguenze involontarie di questo cambiamento politico rientrano anche l’aumento dell’inflazione e quello dei tassi di interesse, che potrebbero entrambi cambiare radicalmente gli schemi economici degli ultimi quattro decenni.

Il Chip Act, adottato dall’Amministrazione Biden lo scorso ottobre per fermare la vendita di semiconduttori alla Cina, potrebbe suscitare una considerevole guerra tecnologica, che in qualche modo potrebbe a sua volta rallentare l’attuale corso della Quarta Rivoluzione Industriale, senza menzionare le crescenti tensioni con Taiwan.

Il cosiddetto IRA (Inflation Reduction Act), recentemente adottato da Washington per spronare la transizione ecologica, sta creando forti tensioni commerciali con l’Unione Europea.

Sfortunatamente, nonostante tutte le previsioni occidentali, le sanzioni non hanno ancora messo la Russia in ginocchio. Secondo il Fondo Monetario Internazionale, nel 2024 si prevede addirittura una crescita dell’economia russa del 2,1%, maggiore rispetto a quella di Germania e Regno Unito.

Inoltre, le sanzioni contro Mosca sono state adottate solo dalle democrazie occidentali e da pochi altri Paesi asiatici che la pensano allo stesso modo.

Al consolidamento dell’alleanza transatlantica non è dunque corrisposto un consolidamento della leadership mondiale da parte del cosiddetto Global West. La convinzione di vecchia data delle democrazie occidentali che il mondo ruoti intorno ad esse è stata messa in discussione, ed un mondo diverso sta prendendo forma. Sebbene in maniera indistinta, è il cosiddetto Global Rest a sembrare in ascesa, sviluppando una propria coscienza geopolitica. Un crescente numero di economie emergenti si stanno estraniando da narrative, visioni e politiche occidentali, nonché dai sistemi finanziari globali strettamente legati all’Occidente; la de-globalizzazione è imminente, e anche la de-dollarizzazione.

Una lunga lista di Paesi — soprattutto tradizionalmente alleati al Global West — non sta più mostrando lo stesso affetto per quell’ordine mondiale a matrice statunitense che dal 1945 ha determinato le politiche globali. Algeria, Argentina, Egitto, Indonesia, Nigeria, Arabia Saudita, Turchia ed Emirati Arabi Uniti, giusto per citarne alcuni, percepiscono tale ordine come fazioso, talvolta ipocrita, e spesso caratterizzato da due pesi e due misure, con regole che sembrano formalmente valide per tutti tranne che per una cerchia ristretta di Paesi occidentali. Queste economie emergenti si stanno mettendo in fila per entrare a far parte del Global Rest, dei BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), il vero alter ego globale del G7.

Non c’è dubbio che la Russia sia stata efficacemente isolata dal Global West, e nemmeno che l’alleanza transatlantica si sia vigorosamente rafforzata; tuttavia, ci sono anche sconfortanti segnali di come il Global West appaia sempre più isolato dal Global Rest. Per prevalere sulle autocrazie occorre conquistare i cuore e le menti di tutto il mondo, non solo degli elettori in Occidente.

Malgrado la meritata condanna e punizione della Russia, il conflitto avrebbe potuto essere sfruttato meglio dall’Unione Europea come una chance unica per dare contenuto alla propria autonomia strategica ampiamente sostenuta, spingendo di più per delle soluzioni negoziate mantenendo al tempo stesso il supporto all’Ucraina.

L’Unione Europea ha invece optato per essere il junior partner degli Stati Uniti ed un’istituzione di traino nell’area di Polonia e Baltico. È sconcertante quanto persino il Regno Unito, che ha recentemente abbandonato l’Unione Europea, a Bruxelles sembri godere rispetto a prima di un’influenza politica maggiore.

Le relazioni transatlantiche si sono rafforzate con discreto successo; un risultato fondamentale, considerata l’incertezza del futuro che si prospetta.

Forse si sarebbero potute rafforzare in una maniera migliore.

Se il prezzo che l’Europa ha pagato ne varrà la pena lo scopriremo soltanto negli anni a venire.

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