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Il nuovo arco di crisi in Medio Oriente: perché torna ad esplodere

La guerra in Ucraina ha fatto distogliere l’attenzione da un’altra area delicata e vitale per gli equilibri internazionali. Il conflitto nel cuore dell’Europa, ha come fatto dimenticare tutte le varie tensioni da anni ben presenti in Medio oriente. Ma gli ultimi fatti hanno contribuito a ricordare nuovamente a tutti come quella mediorientale continua a essere, ancora adesso e nel bel mezzo del conflitto ucraino, l’area in cui le varie grandi potenze misurano la propria forza.

L’escalation tra Israele e Palestina

Quando si pensa alle tensioni in medio oriente, è impossibile non partire dalla questione relativa al conflitto israelo-palestinese. Il 2023 si è aperto con un importante aumento della tensione tra le parti. Per la verità, già nei mesi precedenti sono tornati a registrarsi attentati in Israele e blitz da parte delle forze dello Stato ebraico in Cisgiordania contro sospetti terroristi. Il 27 gennaio è arrivato forse l’episodio destinato a segnare negativamente le prossime settimane. Un’irruzione israeliana nel campo profughi di Jenin, già teatro recentemente di altre azioni del genere, ha provocato la morte di dieci palestinesi. Due di loro erano i veri obiettivi del blitz: si trattava di due componenti di una cellula della Jihad Islamica, gruppo radicale autore di diversi attentati in territorio israeliano.

Dopo la notizia della sparatoria fatale, in cui è morta anche una donna palestinese, sia in Cisgiordania che nella Striscia di Gaza la situazione si è rapidamente surriscaldata. L’Autorità Nazionale Palestinese (Anp) ha proclamato tre giorni di lutto e di scioperi in tutto il territorio. Hamas e la stessa Jihad Islamica hanno subito invitato alla vendetta. Il giorno successivo puntualmente è arrivata la tragica reazione: a Gerusalemme Est, un ragazzo di 21 anni ha aperto il fuoco in una sinagoga uccidendo 9 persone. Il 28 gennaio, sempre a Gerusalemme, a entrare in azione è stato un ragazzo di appena 13 anni. In questo caso non ci sono state vittime.

Manifestazione Gaza dopo l’attacco alla sinagoga di di Gerusalemme del 27 gennaio (foto: EPA/MOHAMMED SABER)

L’allerta in Israele è ora massima. C’è il rischio di nuove tensioni e di nuovi scontri. Anche perché a questo quadro già molto fosco, occorre aggiungere le tensioni tutte interne alla vita politica israeliana. Il 2023 si è aperto con il giuramento del nuovo governo Netanyahu, il quale prevede al suo interno elementi giudicati estremisti. Spicca in tal senso il nome di Itamar Ben Gvir, leader del partito Potere Ebraico, protagonista di una passeggiata nell’area della spianata delle moschee il 3 gennaio. Un atto giudicato provocatorio dai palestinesi.

Le proteste in Iran e i raid degli ultimi giorni

Tensione molto alta anche in Iran. Nel Paese dal 16 settembre scorso, data della morte della giovane Mahsa Amiri, sono in corso violente proteste. In piazza sono scesi giovani, studenti e rappresentanti di minoranze etniche. A Teheran, così come nelle principali città iraniane, in più di un’occasione si è avuto uno scenario da vera e propria guerriglia urbana. La reazione delle autorità della Repubblica Islamica è apparsa via via sempre più forte. Alcune settimane fa nelle carceri del Paese si è attivata la mano del boia, con diverse pene capitali eseguite a danno di manifestanti catturati dalla polizia.

Proteste in Iran nel settembre del 2022 (FotoEPA/STR)

Un clima quindi molto tetro, a cui occorre aggiungere le notizie arrivate sabato sera da Isfahan e da altre sei località iraniane. Sono stati infatti segnalati diversi raid contro postazioni e strutture militari. Dei veri e propri blitz dal cielo arrivati tramite droni. Nessuno ha rivendicato l’azione, ma sulla stampa mediorientale si è parlato di operazioni compiute dagli Usa e di un forte sospetto relativo al coinvolgimento israeliano. Possibile, secondo questa ricostruzione, un tentativo dei servizi segreti occidentali e israeliani di colpire le infrastrutture usate per i progetti di arricchimento dell’uranio. Ad ogni modo, i raid hanno dimostrato una certa debolezza iraniana e potrebbero anche incidere sulla stabilità del Paese.

Il rischio di nuove primavere arabe

Nell’elenco delle nuove possibili tensioni mediorientali, non mancano le questioni relative al Magreb. Al di là del discorso migratorio, il quale interessa più da vicino l’Italia, i timori risiedono soprattutto nelle condizioni economiche di Egitto e Tunisia. Due Paesi relativamente stabili, ma molto fragili. Qui nel 2011 ha preso piede la primavera araba, ossia quel moto di proteste dilagato poi in gran parte del mondo arabo. Ben Alì in Tunisia e Mubarack in Egitto sono stati i primi due leader travolti dalle rivolte. I problemi alla base di quelle manifestazioni non sono però mai stati del tutto risolti.

In Egitto è forte il timore di nuove grandi manifestazioni di piazza. Ne ha fatto velatamente cenno lo stesso presidente Al Sisi, al potere dal 2014. Il Paese è stato gravemente colpito dalla crisi generata dalla pandemia da coronavirus prima e, successivamente, dalla guerra in Ucraina. Il Cairo dipendeva molto dalle importazioni di grano ucraino, il conflitto ha provocato un drammatico aumento dei prezzi di beni di prima necessità e uno strato sempre più ampio della popolazione ha poca fiducia nella possibilità di un miglioramento delle condizioni.

Proteste a Tunisi(Foto: Yassine Mahjoub / Sipa USA)

Sta andando ancora peggio in Tunisia. Il Paese che per molti ha rappresentato l’esperimento di democrazia più riuscito a seguito della primavera araba, oggi sta affrontando una crisi economica di dimensioni quasi drammatiche. Negli ultimi giorni l’agenzia di rating Moody’s ha ulteriormente declassato il debito tunisino, con il Paese che sembra sempre più vicino alla bancarotta. Il potere di acquisto delle classi medie e di quelle meno agiate si è assottigliato, la possibilità di reperimento di generi di prima necessità è un miraggio per un numero sempre più in crescita di famiglie.

La sfiducia, tanto nelle istituzioni quanto nella fragile democrazia, è tale che nel secondo turno delle recenti elezioni legislative è andato a votare solo l’11% degli aventi diritto. Il presidente Kais Saied, eletto nel 2019, ha puntato il dito contro i veti incrociati dei partiti sorti dopo il 2011. Ha così prima esautorato il parlamento, poi lo ha sciolto e ha fatto varare una nuova costituzione che concede maggiore potere al presidente. Il suo intento è quello di poter procedere in modo più marcato verso le riforme economiche, ma la situazione è ben lontana dall’essere risolta. La fragile Tunisia sta quindi rischiando di essere nuovamente un detonatore di tutte le tensioni mai sopite e mai superate nella regione.

Una Libia lontana dalla pace

Tra Tunisia ed Egitto c’è poi una Libia ancora oggi “buco nero” del Mediterraneo e del medio oriente. Anche qui sono arrivate nel 2011 le proteste della primavera araba, le quali hanno portato alla guerra civile e alla caduta e all’assassinio del rais Muammar Gheddafi. Da allora, a Tripoli non c’è più stato alcun governo stabile e in grado di rappresentare l’unità nazionale. La guerra civile si è continuata a combattere, provocando un frazionamento e una divisione istituzionale difficile da risolvere.

Milizie miruatine a Tripoli

Al momento ci sono due governi che si contendono il potere. A Tripoli c’è l’esecutivo, riconosciuto dall’Italia, guidato da Abdul Hamid Ddeibah. A Sirte invece, è stanziato il governo di Fathi Bashaga. Non solo, ma il territorio non è controllato da alcuna forza stabile realmente riconosciuta. In Tripolitania sono le milizie sorte all’epoca della guerra contro Gheddafi a dettare legge, nell’est invece il controllo del territorio è in mano ai gruppi confluiti nel Libyan National Army guidato dal generale Khalifa Haftar. Dopo il tentato colpo di mano delle milizie vicine a Bashaga dello scorso agosto, la situazione appare più tranquilla. Ma soltanto perché il Paese si è come abituato a uno stallo senza sbocchi e senza prospettive, con nuove violenze alle porte se non si dovesse arrivare ad accordi in grado di riunificare il territorio e le istituzioni.

La telefonata tra Bin Salman e Putin

C’è infine un altro recente episodio che in qualche modo richiama poi alla risorsa economica più importante di cui dispone il medio oriente, ossia il petrolio. Nei giorni scorsi infatti si è avuta una conversazione telefonica tra il principe ereditario saudita, Mohammed Bin Salman, e il presidente russo Vladimir Putin.

Vladimir Putin e Mohammed bin Salmannell’ottobre del 2019. (Foto: EPA/ALEXEY NIKOLSKY/SPUTNIK/KREMLIN/POOL MANDATORY CREDIT)

I rapporti tra Arabia Saudita e Russia sono molto stretti nell’ambito del cosiddetto Opec+. L’organizzazione cioè che raggruppa il cartello dei produttori di petrolio interni all’Opec e, per l’appunto, la Russia. Un gruppo dove Riad e Mosca appaiono come i principali produttori di greggio. I costanti rapporti tra Bin Salman e Putin di fatto contribuiscono all’andamento del prezzo dell’oro nero. I sauditi non hanno preso una forte posizione sulla guerra in Ucraina, mantenendo quindi costanti contatti con il Cremlino. La conversazione tra il principe ereditario e il leader russo, è quindi segno di un medio oriente non così sganciato, a differenza dell’occidente, dai rapporti con la federazione russa.

Una regione destinata a essere sempre al centro del mondo

Anche quando il baricentro di un conflitto si sposta verso l’Europa, c’è sempre una linea di collegamento con l’area più turbolenta del pianeta. Il conflitto in Ucraina ha generato conseguenze in medio oriente e, allo stesso tempo, le vicende mediorientali potrebbero influenzare la guerra in corso a Kiev. Sia per gli interessi in ballo che per il gioco di alleanze politiche e commerciali tra i vari attori, i dossier più delicati a livello internazionale anche nei prossimi mesi coinvolgeranno l’area mediorientale.

Un’area da tenere sotto stretta osservazione. La possibilità di una profonda instabilità iraniana, al pari di una recrudescenza del conflitto israelo-palestinese e di una nuova instabilità nel Magreb, potrebbero sconvolgere gli equilibri al di là e al di qua del Mediterraneo. L’impressione è che per comprendere l’intero corso dell’anno da poco iniziato, occorrerà mettere assieme le tante tessere che compongono l’intricato mosaico di una regione tanto vasta quanto problematica.

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