Siamo abituati a pensare al Giappone come a una potenza economica e tecnologica sostanzialmente microscopica dal punto di vista militare. Tuttavia, a breve, l’idea di un Giappone privo della capacità di proiettarsi seriamente fuori dai propri confini diventerà un ricordo. Risale infatti alla fine del 2022 l’annuncio del premier nipponico Kishida, in cui ha comunicato l’intenzione di Tokyo di intraprendere un progetto quinquennale di riarmo, del valore di 220 miliardi di dollari. Si tratta, in realtà, di una formalizzazione che non ha colto di sorpresa nessuno, ma che – tuttavia – avrà un discreto impatto sul futuro geopolitico dell’estremo Oriente.

Pacifismo addio?

In termini percentuali l’idea è, in definitiva, quella di allineare la quota di Pil nipponico destinata alla difesa a quella del mondo Nato (il 2%): non di per sé una cifra fuori dal mondo, ma inedita per una nazione che negli ultimi decenni ha raramente superato l’1%; una politica, a onor del vero, vincolata alla Costituzione nipponica che però – non dimentichiamo – fu letteralmente imposta dagli statunitensi alla fine del secondo conflitto mondiale. La scelta di procedere in questa direzione, invece, cela parecchi significati.

Questo articolo è stato pubblicato sul Primato Nazionale di febbraio 2023

Tanto per cominciare, il fatto che la nazione con l’età mediana più elevata al mondo decida di allocare maggiori risorse alla Difesa togliendole altrove – come alla Sanità, ad esempio – è segno che, per la classe dirigente nipponica, questa scelta non è più posticipabile. In secundis, questa decisione significa lasciarsi alle spalle definitivamente la famosa Costituzione «pacifista», o quantomeno di aggirarla. Che negli ultimi anni il Giappone stesse già procedendo in questa direzione era chiaro, ma ora il tema, considerate le proporzioni della spesa prevista, avrà un chiaro impatto politico e creerà un dibattito nella società giapponese.

Tutti contro il Dragone

La dichiarazione di riarmo giapponese ha indicato come minacce geopolitiche la Cina e la Corea del Nord, e ha esplicitamente citato il ruolo di supervisione o coordinamento destinato a Washington, a indicare da un lato una partnership speciale, dall’altro che aver perso la guerra quasi 80 anni fa significa probabilmente non poter ancora oggi godere di una totale sovranità in termini di politica estera.

La premessa logica alla base di questa scelta politica è stata l’invasione russa dell’Ucraina (peraltro il Giappone avrebbe ancora una questione aperta con la stessa Russia in merito all’occupazione delle isole Curili), che avrebbe causato un grande squilibrio nella comunità internazionale e reso concreta la possibilità di uno scenario simile, magari proprio in una zona di interesse giapponese. La reazione degli Usa a questa scelta di riarmo è stata, ovviamente, di totale appoggio e condivisione: segno che l’annuncio certifica l’intenzione del Giappone di prestarsi a essere anello di contenimento della minaccia cinese.

Il Giappone e lo Zio Sam

Specularmente, la Cina ha parlato di scelta poco assennata che rischia di produrre un’escalation e di portare tensione militare tra Tokyo e Pechino. Storicamente parlando, è curioso pensare che solo vent’anni fa il Giappone era praticamente considerato il primo concorrente alla supremazia statunitense dopo il collasso dell’Urss, mentre oggi, di contro, l’agenda della classe dirigente nipponica coincide con quella americana. Una realtà che stride con il contenuto di testi come The Coming war with Japan del 1991, scritti da analisti strategici del livello di George Friedman, in cui si considerava praticamente certa una collisione tra gli Stati Uniti e il Giappone entro il 2010. Oggi, invece, i rapporti tra Giappone e America sono molto saldi, in parte perché l’economia nipponica ha…

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