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I due fronti che assediano Netanyahu: cosa succede in Israele

“Non accetteremo trasgressori della legge e violenze né a Huwara, né a Tel Aviv, né da nessun’altra parte”. Con queste parole mercoledì 1 marzo il primo ministro d’Israele Benjamin Netanyahu ha apostrofato i manifestanti che si sono scontrati ancora una volta con la polizia nei cortei contro la riforma del sistema giudiziario.

Il premier israeliano ha stabilito così un parallelo tra i due fronti che lo assediano in questi giorni. Da una parte rimane l’incrollabile opposizione interna alla revisione del sistema giudiziario. Dall’altra, il veloce deterioramento della sicurezza nei territori palestinesi, che ha lasciato una lunga scia di sangue arrivando ad allarmare anche gli alleati statunitensi per il rischio concreto di una terza intifada. La scelta di ritrarre quella scheggia impazzita di coloni inferociti che hanno seminato il panico ad Huwara come i manifestanti che protestano da mesi contro il rivolgimento nel sistema politico israeliano ha scatenato ulteriore veemenza nell’opposizione.

L’escalation fuori controllo in Cisgiordania

Le immagini di Huwara la mattina dopo l’aggressione del 27 febbraio raccontano di una notte di collera e vendetta collettiva da parte di un gruppo di coloni israeliani completamente fuori controllo. L’ininterrotto circolo vizioso che attanaglia i territori della Cisgiordania occupata aveva provocato quella mattina stessa la morte di due giovani fratelli israeliani, caduti vittime di un attentato mentre attraversavano in auto il centro di Huwara. Quella notte, la furia degli assaltatori ha imperversato sulle strade della cittadina: fiancheggiati dai soldati israeliani, in centinaia hanno dato alle fiamme almeno 35 abitazioni palestinesi e più di un centinaio di automobili.

Il bilancio finale contava una vittima, più di 400 palestinesi intossicati dai lacrimogeni dell’esercito israeliano e dal fumo dei roghi, e decine di feriti colpiti brutalmente con spranghe e sassi. Delle folle coinvolte nell’assalto, le autorità israeliane hanno condannato sei responsabili di disordini, danneggiamenti alla proprietà e aggressione; due di loro sono minorenni.

Sui fatti di Huwara e sulla valutazione del primo ministro, l’ex premier Yair Lapid si è pronunciato in maniera perentoria. In una dichiarazione rilasciata ad ANSAmed ha respinto fermamente il paragone stabilito da Netanyahu e ha definito l’aggressione del 27 febbraio “un pogrom eseguito da terroristi”. Il capo dell’opposizione della Knesset ritiene inaccettabile il parallelo tra gli aggressori di Huwara e i manifestanti di Tel Aviv che, ricorda Lapid, includono soldati veterani, dottori e studenti: a sua detta “il meglio del Paese”. In base alle conclusioni tratte dall’ex premier chi ha pronunciato quel paragone è un istigatore, un uomo debole e pericoloso.

Il commento del ministro delle Finanze Bezalel Smotrich sulla questione ha provocato aspre critiche. All’indomani dell’aggressione, il leader del Partito Sionista Religioso, che amministra anche le questioni di sicurezza nazionale negli insediamenti della Cisgiordania occupata, ha affermato davanti ai microfoni del Times of Israel che “lo stato di Israele dovrebbe spazzare via la città di Huwara”.

Da oltreoceano, la critica del portavoce del dipartimento di Stato Ned Price è giunta lapidaria: le parole di Smotrich sono state “irresponsabili e ripugnanti”. Solo dopo che la sua visita programmata negli Stati Uniti per il meeting della Israel Bonds (sottoscrittore statunitense di titoli di debito israeliani) è stata messa in dubbio a causa di quell’affermazione, Smotrich è tornato sui suoi passi, riconoscendo che lo “strafalcione” è stato dettato da un momento di emotività. Un’altra ferita da ricucire con Washington, che si aggiunge all’indignazione per le dichiarazioni del presidente del Comitato di Sicurezza nazionale Zvika Fogel, secondo cui “è ora che Israele si tolga i guanti” per trattare con i terroristi palestinesi, “sospenda l’uso della proporzionalità e la rinuncia alla punizione collettiva”.

L’inasprimento dell’opposizione interna

La tensione tra Netanyahu e Lapid continua a crescere da settimane oramai, con il leader di Yesh Atid che non si limita a partecipare ma si pone alla guida delle proteste contro la riforma che, se completasse l’iter di approvazione in scadenza questo mese, metterebbe la Corte Suprema di giustizia israeliana “sotto tutela” della Knesset. Le manifestazioni pro-democrazia che contestano al governo di voler ridisegnare l’architettura dello Stato in senso autoritario hanno raggiunto nuovi picchi di intensità nell’ultima settimana.

Ci sono stati infatti scontri tra manifestanti e forze di polizia fuori dalla residenza del premier a Gerusalemme, blocchi stradali e occupazioni di stazioni ferroviarie. Nel “giorno di interruzione nazionale“, uno sciopero generale indetto dagli attivisti per l’1 marzo contro la riforma, il governo sembra aver cambiato atteggiamento dopo due mesi di proteste ininterrotte: è stato ordinato alla polizia di disperdere i manifestanti con granate stordenti e cannoni d’acqua, e sono stati arrestati 50 attivisti.

Il primo ministro ha pubblicamente accusato Lapid di trasportare il Paese negli abissi dell’anarchia in un tentativo inequivocabile di creare una crisi di governo per indire nuove elezioni. L’opposizione interna mantiene la sua coesione pur facendosi più variegata, e si posiziona sui fronti aperti dal governo stesso: a Tel Aviv centinaia di donne hanno sfilato con le vesti rosse delle ancelle di “Handmaid’s Tale” per denunciare il rischio che la riforma trasformi la democrazia egalitaria israeliana in una teocrazia che discrimina le donne e revoca i loro diritti.

Nuova linfa ha rinvigorito anche i sostenitori dei diritti umani in particolare dopo la prima approvazione (55 voti contro 9) del disegno di legge che istituirebbe l’obbligo per i giudici di comminare la pena di morte per “atti intenzionali che causano la morte di un cittadino israeliano con l’obiettivo di danneggiare Israele o sradicare gli ebrei dal Paese”.

Netanyahu, chiuso tra due fronti caldi e che richiamano l’attenzione internazionale, ha scelto di equipararli, inquadrandoli in una narrativa legalista. Cerca così di riconfermare l’immagine di statista rispettoso della legge, che squalifica ugualmente gli eccessi di violenza, la giustizia privata e l’anarchia in difesa del Paese. Rimane comunque da vedere se il premier riuscirà a ricondurre alla normalità la situazione in Cisgiordania come a Tel Aviv, e se questa posizione sarà tollerata dagli alleati americani.

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