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Doppia sconfitta per il Pd: agenda radicale e affluenza misera – Nicolò Bertoncello

Ribaltando tutti i sondaggi Elly Schlein è stata eletta alla guida del Pd con il 53 per cento dei consensi, pur avendo perso, e con ampio margine, il voto riservato agli iscritti al partito, che le hanno preferito il governatore dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini, suo principale sfidante.

Svolta a sinistra

Schlein rappresenta l’ala più socialista e radicale del partito: si dice contraria all’utilizzo dell’energia nucleare, all’invio di armi all’Ucraina e all’autonomia differenziata, mentre è favorevole alle imposte patrimoniali (successione compresa), vorrebbe tasse più alte e politiche sociali basate sui sussidi come il reddito di cittadinanza.

Proprio il sussidio grillino è il tema principale che desidera portare avanti assieme al Movimento 5 Stelle, con il quale ha ribadito di voler ricomporre l’alleanza a cui abbiamo tragicamente assistito con il Conte 2 e nel governo Draghi detto di “unità nazionale”.

Il Partito democratico può contare da oggi su un segretario che forse più dei suoi predecessori saprà intercettare i voti della sinistra estrema dispersi tra 5 Stelle, astensionismo e liste varie di sinistra. Ma non è tutto oro quel che luccica.

Il declino delle primarie Pd

Infatti, domenica 26 febbraio, i Democratici hanno deposto una pietra tombale su ogni possibile alleanza con il Terzo polo, si riscoprono divisi più che mai, con un segretario che loro stessi non vogliono e un’affluenza talmente bassa da far pensare che mai la situazione in casa Pd fosse stata così tragica.

Facciamo parlare i numeri, andando a riprendere i dati sul numero di votanti alle varie elezioni primarie dei Dem: nell’autunno del 2007 l’entusiasmo iniziale premia Walter Veltroni e porta a votare ben 3,5 milioni di persone, cifra che ormai potrebbe superare anche il numero di elettori totali del partito.

Nel 2009, in seguito alla sconfitta alle politiche del 2008, viene eletto segretario Pierluigi Bersani con il voto di oltre 3 milioni di persone, in quelle che furono le seconde elezioni primarie del Pd.

Le tornate che premiano Matteo Renzi iniziano a registrare numeri sempre più esigui: i 2,8 milioni del 2013 diventano infatti un milione in meno nell’aprile del 2017, poco dopo la sconfitta al referendum costituzionale del 4 dicembre 2016.

Per effetto della batosta subita alle elezioni politiche del 4 marzo 2018, l’ormai ex premier Renzi si dimette da segretario del Pd e viene eletto Nicola Zingaretti solo da 1,6 milioni di persone che si recano al voto, la metà rispetto a nove anni prima. Letta verrà poi eletto dall’Assemblea nazionale risparmiandosi l’umiliazione dell’astensionismo.

Affluenza mai così bassa

Secondo quanto dichiarato dalla deputata del Pd Silvia Roggiani, presidente della Commissione nazionale del Congresso, si conterebbero circa un milione di votanti, la cifra più bassa mai vista: si tratta di un calo di 600.000 rispetto al 2019, di quasi due milioni rispetto al 2013 e di ben 2 milioni e mezzo di persone dal 2007.

Un enorme segno meno per il Partito democratico, che si trova ancora una volta a tu per tu con l’inesorabile declino a cui si è condannato da anni allontanandosi da quello che per un partito di sinistra dovrebbe essere l’elettorato naturale, a cominciare dagli operai, che oggi votano in larga parte per la Lega o per Fratelli d’Italia.

Starà al neo-segretario Schlein risollevare le sorti dell’ormai ex carro armato della sinistra, diventato una vecchia utilitaria arrugginita, in attesa della definitiva demolizione.

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