La riforma del welfare
Fabrizio Mastrofini — 7 Marzo 2023
Oggi il Senato inizia l’esame della riforma dell’assistenza alle persone anziane, progetto presentato dal governo e recepisce le indicazioni della Commissione presieduta da mons. Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, che ha lavorato nel 2021 e 2022. Per la prima volta si ipotizza e si indica in che modo affrontare nel suo insieme la “questione della vecchiaia”.
Quando il progetto sarà approvato, l’Italia diventerà il primo paese a dotarsi di una legislazione adeguata alla sfida dell’invecchiamento della popolazione. È utopico ipotizzare che questa legislazione riceva l’unanimità dei consensi in Parlamento? Oggi, dicono le statistiche, in media la durata della vita è di 80,1 anni per gli uomini e di 84,7 anni per le donne; senza distinzione di genere risulta pari a 82,4 anni. Eppure tutti noi abbiamo esperienza di familiari, amici, conoscenti, che superano e di molto queste età. A fronte di un calo demografico costante e preoccupante, abbiamo oggi oltre 14 milioni di ultrasessantacinquenni. Una popolazione, un paese nel paese. Si vive venti o più anni, in pensione. Per fare cosa? Molti stanno bene, ma cosa accade a chi ha bisogno di assistenza? E ci sono differenze tra chi vive in grandi centri e quanti vivono in comuni piccoli, con le note differenze tra Nord, Centro e Sud. Se consideriamo i dati delle Rsa, le residenze per gli anziani, vediamo che sono in grado di accogliere poco più di 200 mila persone. Una goccia nel mare.
Il vero nodo da affrontare – e il progetto di riforma lo fa – riguarda il cambiamento culturale che dobbiamo avere nei confronti dell’età anziana. Dobbiamo finalmente prenderci cura di tutta la popolazione anziana e non solo dal punto di vista dell’assistenza prestazionale: l’obiettivo primario è che l’anziano venga preso in carico a casa, circondato dai propri affetti. C’è bisogno di una nuova alleanza da parte dell’intera società, perché nessun anziano sia lasciato solo, ma venga curato, rispettato, amato. L’età anziana non è un’età di scarto, di abbandono, di fine, ma una grande ricchezza per l’intero paese e per altre generazioni. Il progetto non solo disegna un modello di assistenza ma indica le coperture affinché sia compatibile e sostenibile con le risorse a disposizione.
Un sistema integrato di assistenza che limiti i ricoveri allo stretto indispensabile, sia basato sulle cure domiciliari, costruendo una rete, prende in carico non solo i bisogni sanitari della popolazione anziana, ma anche la cura della persona in un senso più ampio, considerando la necessità di relazioni. Perché sappiamo che la solitudine si trasforma in malattia. E dobbiamo evitare la deriva del “tanto non si può fare niente”, solo perché l’indicazione anagrafica è alta. La “cultura dello scarto” produce vittime tra gli anziani che possono venire completamente evitate, mettendo a disposizione della società, della comunità, le risorse di esperienza e saggezza presenti tra le persone anziane.
Una riforma di questo tipo è in grado di produrre lavoro. Sono necessarie figure professionali all’altezza della sfida dell’assistenza, con una formazione adeguata. La Commissione nei suoi studi preliminari ha stimato che sono necessari almeno 100mila nuovi posti di lavoro per un personale specializzato. È un modo per dare lavoro e far uscire dal “nero” tante figure che oggi si prendono cura dei nostri anziani alla meno peggio. Non è poco. È una vera rivoluzione, che deve renderci una società al passo con i tempi. Basti pensare che l’assistenza domiciliare, oggi, prevede 17 ore settimanali di infermieri. Una presenza largamente insufficiente. Quindi oltre a ripensare la presa in carico degli anziani, c’è da inventare una nuova filiera che preveda un continuum assistenziale che parte dalla domiciliarità.
Bisogna dare atto a Romano Guardini che già negli anni Cinquanta del secolo scorso aveva intuito il problema: «Si parla molto e con preoccupazione della crescente percentuale degli anziani nella popolazione, ma non ci si preoccupa del fatto che oggi l’anziano non svolge più una autentica funzione nella collettività perché non riesce a cogliere il proprio senso. E allora egli è chiaramente soltanto un peso per la famiglia, per la comunità, per lo stato». Di qui l’urgenza di comprendere – anche secondo una prospettiva sociologica e culturale oltre che spirituale – il valore dell’uomo che invecchia nel contesto dell’intera società. Era ovvio che se aveva senso solo la forza del giovane la vecchiaia diveniva un triste declino, con le conseguenze di una società crudele verso gli anziani sentiti solo come un peso da eliminare quanto prima possibile.
E Guardini concludeva: «Ne consegue che la comunità deve da parte sua dare a chi diventa vecchio la possibilità di invecchiare nel modo giusto, perché questo solo in parte dipende da lui, e per il resto dell’eventualità che chi gli è vicino, la famiglia, gli amici, ma anche, andando oltre, il contesto sociale, il comune, lo stato, gli diano le condizioni di vita che egli stesso non è in grado di darsi». Ovviamente questo avrebbe richiesto una nuova consapevolezza della vecchiaia come parte del senso compiuto della vita umana. E forse si potrebbe dire – seguendo in questo mons. Paglia – che la patologia principale della vecchiaia è l’idea che oggi ancora ne abbiamo: gli anziani sono diventati “decrepiti” nella nostra mente prima che nel decadimento fisico.
Le persone anziane le abbiamo già condannate: improduttivi e dunque inutili. E invece no. Se ne è accorta anche la Chiesa che con papa Francesco l’anno scorso ha realizzato un ciclo di ben 18 catechesi del mercoledì sul significato e sul valore della vecchiaia e delle persone anziane, per dire che la terza e la quarta età non sono una lenta e mesta cerimonia di congedo. Questa considerazione ci impedisce di rinchiudere la vecchiaia nell’immagine di una vita residuale, come se fosse per definizione l’età del pericolo incombente, della sopravvivenza passiva, del vuoto progettuale, insomma, la fine della esistenza.
Il progetto di legge si muove in questa direzione: restituire dignità alle persone anziane, nel contesto di una società che si prende cura di tutti. Significativo, e non è poco, che il progetto di legge scaturisca dal lavoro di una commissione presieduta da un arcivescovo cattolico. È un superamento degli steccati, segnala che è possibile lavorare insieme tra persone di estrazione culturale diversa, in vista di un obiettivo comune.
Giornalista e saggista specializzato su temi etici, politici, religiosi, vive e lavora a Roma. Ha pubblicato, tra l’altro, Geopolitica della Chiesa cattolica (Laterza 2006), Ratzinger per non credenti (Laterza 2007), Preti sul lettino (Giunti, 2010), 7 Regole per una parrocchia felice (Edb 2016).
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